Il peperone di Voghera diventa
Presidio Slow Food. Fino a metà Novecento era diffusissimo, poi
una micosi ne ha ridotto notevolmente la coltivazione. Un lungo
lavoro di recupero lo ha fatto tornare nella pianura tra Pavia e
Alessandria.
Fino agli Anni Cinquanta Voghera ospitava un importante
mercato ortofrutticolo ed esportava fino in Germania e negli Usa
quei peperoni verdi, facilmente digeribili, che un po' tutti
coltivavano nel proprio orto. Poi un fungo ne attaccò le radici
facendo morire le piante e provocando un drastico calo di
produzione. Solo oggi, dopo più di quindici anni di lavoro
finalizzato al recupero del seme, quel peperone è tornato nei
campi e sulle tavole, diventando Presidio Slow Food.
"Il peperone di Voghera - spiega Andrea Olezza, referente dei
sei produttori che aderiscono al Presidio - ha forma cubica,
dimensione tra gli 8 e i 12 centimetri ed è quadrilobato, cioè
normalmente ha quattro coste. E di colore verde chiaro, e perciò
viene detto 'bianco'. In piena maturazione diviene giallo e
quasi arancione, ma la particolarità è che è buono già quando è
verde".
Per sfuggire al fusarium, il patogeno che tanti danni
inflisse alle coltivazioni, chi poté si spostò di qualche
chilometro. "Mio nonno, una volta sposato - racconta Olezza - si
trasferì nella zona di Corana, un paese poco distante con un
terreno più sabbioso, e qui continuò a riprodurre il Voghera. E'
rimasto l'unico produttore ma ha continuato a crederci,
riuscendo a trasmettermi la stessa passione".
Proprio da quei semi nel 2005 è partito il progetto di
recupero che, in collaborazione con l'Istituto tecnico agrario
Gallini di Voghera, l'Istituto di Patologia Vegetale
dell'Università di Milano e il Centro Ricerca Agraria di
Montanaso Lombardo di Lodi, nel giro di alcuni anni ha
consentito di riprendere la produzione.
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