Il Bio italiano è arrivato a
quota 19% delle superfici coltivate, superando i 2,3 milioni di
ettari e avvicinandosi così sempre più al target comunitario del
25%, con una crescita nel 2022 del 7,5% pari a quasi il doppio
del tasso di incremento registrato nel 2021. Ma i consumi non
tengono il passo: in questo senso, segnali più incoraggianti
nelle scelte arrivano invece dalla prima indagine campionaria
condotta presso i pubblici esercizi, con oltre il 50% dei bar
italiani e quasi il 70% dei ristoranti che hanno dichiarato di
aver proposto o impiegato nelle loro preparazioni culinarie
cibi, bevande e materie prime biologiche nel corso del 2022.
È quanto emerso dai lavori all'Aquila del convegno nazionale
'Appuntamento con il bio', promosso da Ismea.
Nel corso dell'evento è stato presentato in anteprima il
Rapporto 'Bio in cifre', curato da Ismea e Ciheam di Bari, alla
presenza delle autorità del ministero dell'Agricoltura, della
sovranità alimentare e delle foreste, della Regione Abruzzo, del
Comune dell'Aquila e delle Associazioni e Organizzazioni
professionali di settore.
Come testimoniano gli ultimi dati del Rapporto 'Bio in
cifre', il biologico italiano è ormai lanciato verso il target
del 25% di superfici investite a bio, previsto dalla Strategia
Farm to Fork al 2030, con già sei regioni che hanno oltrepassato
questo traguardo, Toscana, Marche, Lazio, Basilicata, Calabria e
Sicilia.
In parallelo il numero degli operatori (produttori,
trasformatori e importatori) prosegue la sua crescita a un ritmo
piuttosto sostenuto, confermando l'Italia al primo posto in
Europa per numero di aziende agricole biologiche certificate e
sui gradini del podio anche per estensione della Sau biologica.
Il 2022 restituisce l'immagine di un settore in fermento, al
centro delle politiche nazionali e comunitarie e degli
investimenti degli operatori, ma con i consumi che stentano a
recuperare slancio. "La spesa domestica, seppur in ripresa su un
deludente 2021 - spiegano dall'Ismea - non soddisfa appieno le
aspettative, crescendo a un ritmo inferiore all'agroalimentare
complessivo e al tasso di ricchezza".
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