C'è fino al 50% di manodopera straniera dietro al made in Italy agroalimentare anche se i dati ufficiali parlano di immigrati occupati nel settore che arrivano a quasi 362.000 alla fine del 2022, e coprono il 31,7% delle giornate di lavoro registrate. Un esercito però ancora di "invisibili" in Italia nonostante il contributo attivo alle produzioni di eccellenza italiane nell'agroalimentare, settore che nel 2023 ha superato 600 miliardi di fatturato e 64 miliardi di export.
Dati istituzionali "distorti", quelli sul numero di immigrati in agricoltura, ai quali va aggiunto il lavoro sommerso e le registrazioni fittizie. Agricoltura che resta il settore più a rischio sfruttamento con quasi la metà dei provvedimenti giudiziari e inchieste condotte tra il 2017 e il 2021. In crescita anche al Centro-Nord.
È il quadro che emerge dal rapporto sui lavoratori immigrati nell’agroalimentare 'Made in Immigritaly. Terre, colture, culture' commissionato dalla Fai-Cisl, e realizzato dal Centro Studi Confronti che in oltre 500 pagine fotografa il settore.
E così, evidenzia il Rapporto, dal Parmigiano Reggiano prodotto da lavoratori indiani, passando per le campagne agrumicole o del pomodoro nel Sud Italia o per gli operai immigrati che in molte imprese del comparto carni superano anche il 50% dei dipendenti, "non c’è filiera o comparto del made in Italy agroalimentare in cui il lavoro migrante non assuma un ruolo rilevante o insostituibile". Irrisolto, però, il passaggio dalla cittadinanza economica a quella sociale e politica.
Le principali provenienze nazionali registrate nei dati istituzionali sono da Romania (imn leggera flessione), Marocco, India, Albania e Senegal. Le nazionalità dei rifugiati non compaiono nelle prime posizioni, e in generale l’Africa subsahariana è sottorappresentata.
"L'immigrazione illegale resta il nemico oggettivo, e lo dicono i numeri, e non è assorbita dal mondo del lavoro", dice il ministro dell'Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste, Francesco Lollobrigida sottolineando che il vero investimento è quello di "programmare, come ha fatto questo governo, anche con flussi triennali, l'arrivo e la formazione" per dare pari opportunità a tutti puntando anche a fornire possibilità di sviluppo nei territori di origine, e cita il Piano Mattei. Migrazioni che ci sono e ci saranno, sottolinea il segretario della Cisl, Luigi Sbarra, che invita a "smontare alcuni stereotipi consolidati" come quelli di "invasione o elemento di emergenza" e a "spoliticizzare". "Le migrazioni ci sono e ci saranno. Impariamo a governarle e pianificarle - sollecita Sbarra - i migranti saranno i nuovi italiani". Nella ricerca, evidenzia il segretario generale della Fai-Cisl, Onofrio Rota, l'obiettivo è proprio quello di ribaltare la narrazione comune e raccontare vite quotidiane.
Nel Rapporto nove i casi studio territoriali analizzati in otto regioni italiane: in Piemonte (l’area di Saluzzo e la frutticoltura), Lombardia (pianura della bassa bergamasca, specializzata nella produzione lattiero-casearia), Trentino (Val di Non, con la produzione delle mele), Veneto (produzione di asparagi tra bassa padovana e Polesine, e area vitivinicola della Valpolicella, con manodopera per la quasi totalità straniera), area modenese (lavorazione delle carni) e quella romagnola (in particolare la produzione avicola), Campania (area di Castel Volturno), Puglia (area della Capitanata con la raccolta del pomodoro) e Sicilia (fascia trasformata del ragusano e le coltivazioni in serra). In Puglia in particolare, risultano 157mila stranieri impiegati in agricoltura, edifici sotto gli standard di vivibilità mentre in Emilia Romagna è il 6,6% degli occupati stranieri.
Sul fronte imprese, gli imprenditori agricoli stranieri in Italia sono complessivamente 28.029 e rappresentano il 3% del totale nazionale. Il 61% (16.971) provengono da Paesi extra Ue e il 39% (11.058) da Paesi Ue. Con 12.040 imprenditrici (43%), la presenza femminile è rilevante.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA