Antichi batteri 'marinai' potrebbero aver colonizzato gli oceani solcando le acque a bordo di microscopiche barche di chitina, il materiale di cui è fatto l'esoscheletro di insetti e crostacei: così si sarebbe sviluppato il fitoplancton che oggi galleggia in superficie catturando la CO2 atmosferica per fare fotosintesi. A lanciare questa nuova ipotesi, supportata da analisi genetiche ed esperimenti di laboratorio, è lo studio pubblicato sulla rivista dell'Accademia americana delle scienze (Pnas) dal gruppo del Massachusetts Institute of Technology (Mit) guidato dall'italiana Giovanna Capovilla.
I ricercatori si sono focalizzati in particolare su uno dei microrganismi più abbondanti nel fitoplancton, il Prochlorococcus: studiando il suo metabolismo, hanno scoperto un gene che permette di degradare la chitina. Grazie a esperimenti di laboratorio hanno dimostrato che questa capacità permette una più rapida crescita dei ceppi batterici che si sono adattati a vivere in acque poco illuminate. Inoltre i microrganismi risultano anche in grado di attaccarsi ai frammenti di chitina.
Queste osservazioni hanno spinto i ricercatori a domandarsi se il gene fosse già presente negli antenati del Prochlorococcus che in passato vivevano vicino alla costa e non ancora in mare aperto. Dallo studio dei fossili hanno scoperto che le specie acquatiche di artropodi dotati di chitina hanno iniziato a diffondersi circa 500 milioni di anni fa, nello stesso periodo in cui gli antenati del Prochlorococcus hanno sviluppato il gene per metabolizzare la chitina.
Questo dato, secondo gli esperti, potrebbe essere più di una semplice coincidenza. Ritengono infatti molto probabile che il gene per la chitina possa avere dato una marcia in più a quegli antichi batteri che vivevano sui fondali poco illuminati delle zone costiere: avrebbe permesso loro di 'imbarcarsi' su frammenti di chitina persi da insetti e crostacei per poi navigare in mare aperto, dove sarebbero sopravvissuti usando proprio la chitina come fonte di energia.
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