Dai dati dei telefonini, come quelli relativi alle telefonate e ai sistemi Gps, potrebbe arrivare una nuova definizione universale di città, che non si basa su dimensioni e struttura ma, piuttosto, sui flussi di persone. Lo sostiene una ricerca pubblicata sulla rivista Nature Cities e coordinata dall’italiano Paolo Santi del Massachusetts Institute of Technology, alla quale ha partecipato anche l’Istituto di Informatica e Telematica del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa. Secondo i ricercatori, una definizione più accurata delle città è cruciale per il successo di interventi, come gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, che siano efficaci ed utili.
Le prime città furono probabilmente fondate circa 5.000 anni fa nell’odierno Iraq, ma da allora molte cose sono profondamente cambiate. Un recente rapporto del Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani riconosce la necessità di una definizione di città concordata a livello globale: quelle esistenti, infatti, tendono a concentrarsi sulla densità di popolazione o sulla posizione degli edifici visibile nelle immagini satellitari. Nessuna di queste si concentra, invece, sui flussi di persone, ciò che realmente tiene insieme le città di oggi e che collega la forma urbana con le sue funzioni. Per questo motivo, gli autori dello studio che vede come primo firmatario Lei Dong dell’Università di Pechino, hanno proposto un nuovo criterio per la definizione di città, che sia comprensibile e utilizzabile dalla comunità scientifica: i dati dei telefonini.
Questi possono offrire informazioni spaziali e temporali sulle persone all'interno di una determinata area e possono far luce sulla presenza diurna o notturna dei cittadini. Ma questo criterio, come sottolineano i ricercatori, ha anche dei limiti: i dati dei telefoni cellulari sono protetti da norme sulla privacy e potrebbero rappresentare in maniera eccessiva una certa parte della popolazione, come gli utenti più giovani e più ricchi.
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