Spesa pubblica per la sanità in calo mentre aumenta quella delle famiglie; posti letto persi; medici e infermieri insufficienti, sempre più precari e in là con gli anni; liste di attesa che si allungano; numero di italiani che rinuncia alle cure in crescita. È l'impietoso ritratto della sanità pubblica in Italia realizzata da Adoc ed Eures in un rapporto presentato a Roma in occasione del lancio della campagna 'No alla povertà sanitaria. La salute non è un privilegio ma un bisogno primario'. La spesa diretta delle famiglie, tra il 2012 e il 2022, è passata da 31,5 a 36,8 miliardi di euro (+16,9%), pari ad una spesa media mensile di 113,5 euro. In crescita, anche la spesa per assistenza intramoenia, che nel 2022 si attesta a 1,18 miliardi di euro con un incremento dell'8,5% rispetto al 2021 e del 5,3% sul 2016.
"Non possiamo più ignorare il fatto che sempre più persone, soprattutto le più vulnerabili, stanno rinunciando alle cure a causa della diminuzione della spesa sanitaria e dell'inasprimento delle proprie condizioni economiche", ha affermato la presidente Adoc nazionale Anna Rea. "Tutti i cittadini hanno un eguale diritto alla salute, ma nel nostro Paese non è più così: solo chi ha soldi si cura".
Dal rapporto, che rielabora dati istituzionali, emerge un quadro preoccupante. Nonostante la crescita in termini assoluti, la spesa sanitaria pubblica "in termini reali" è "in flessione del 3,7% tra il 2021 e il 2022 e dello 0,8% rispetto al valore del 2020". Se si guarda alla spesa pro-capite, in confronto agli altri Paesi europei, l'Italia, con 2.180 euro spesi per cittadino, è indietro nei confronti della gran parte dei Paesi europei: la Germania spende 4.641 euro, la Norvegia 4.445 euro, la Francia 3.766.
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