Importante passo avanti nel
comprendere il mistero delle gravidanze in cui il feto muore
improvvisamente prima del parto. Ricercatori dell'Hunter Medical
Research Institute in Australia, guidati dall'endocrinologo
Roger Smith, hanno scoperto che molti casi di morte endouterina
fetale sono causati da una deteriorazione della placenta,
l'organo vitale che connette il nascituro in crescita con la
madre attraverso il cordone ombelicale. E stanno sviluppando una
semplice analisi del sangue che potrà permettere di intervenire
con parto cesareo per salvare il nascituro.
La ricerca, che sarà pubblicata sull'American Journal of
Obstetrics and Gynecology, indica che in alcuni casi la placenta
comincia a 'invecchiare' settimane prima della data dovuta del
parto, privando gradualmente il feto dell'ossigeno e delle
sostanze nutritive di cui necessita per sopravvivere. Smith e i
suoi collaboratori hanno osservato che la placenta che si
deteriora emette aldeide ossidasi, un enzima responsabile dei
segni di invecchiamento nel corpo umano. Il test diagnostico,
ora in via di sviluppo, potrà allertare i medici a livelli
elevati dell'enzima nel flusso sanguigno della madre e così
identificare i nascituri a rischio.
Tuttavia un bebè ha una buona probabilità di sopravvivere
fuori dell'utero solo dopo 27 settimane di gestazione. "Se è
troppo presto ricorrere al parto cesareo, sarebbe possibile
somministrare farmaci che inibiscano l'enzima, per rallentare
l'invecchiamento della placenta e permettere al nascituro di
restare nell'utero finché abbia buone probabilità di
sopravvivere dopo il parto", spiega Smith.
Se inoltre i ricercatori troveranno la maniera di controllare
la presenza di aldeide ossidasi nel corpo, le possibilità
mediche potrebbero essere illimitate. "Potrà essere possibile
sviluppare differenti modi per impedire all'enzima di causare
danno, e quindi rallentare l'invecchiamento di altri tessuti e
forse anche allungare la vita in buona salute", aggiunge lo
studioso.
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