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Responsabilità editoriale di ASviS
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di Milos Skakal
Nel film Don’t look up di Adam McKay, uscito nel 2021, la Terra è minacciata da un enorme meteorite che punta dritto sul nostro Pianeta. La coppia di protagonisti, due astrofisici interpretati da Jennifer Lawrence e Leonardo DiCaprio, tenta con tutte le sue forze di convincere la presidente degli Stati uniti, Meryl Streep, a intercettare il meteorite e distruggerlo prima che si infranga sulla Terra. Più o meno a metà film, mentre tutto sembra andare nel verso giusto, la missione viene annullata misteriosamente: perché? Le spiegazioni vengono date dal personaggio di Peter Isherwell, il multimiliardario amministratore delegato di una azienda hi-tech statunitense interpretato da Mark Rylance, il quale sostiene che il meteorite non vada distrutto ma “recuperato”, per poter sfruttare le materie prime di cui è composto. Materie prime che sono indispensabili per lo sviluppo tecnologico e che sulla Terra sono sotto il controllo della Cina, che purtroppo ha messo “le sue grandi zampe da Panda su tutte le miniere”. Se questa storia è frutto della creatività del regista e dello sceneggiatore, nonostante i vari occhiolini rispetto alla realtà, la situazione geopolitica attuale potrebbe far pensare che il meteorite non stia cadendo dal cielo, ma stia arrivando da sottoterra.
In questo momento i rischi sono più attuali che mai, perché a inizio luglio il governo cinese ha deciso di restringere le esportazioni verso l’Europa del germanio e del gallio, due metalli che l’Unione considera come strategici, invocando un non meglio precisato “interesse di sicurezza nazionale”. La stretta dovrebbe essere operativa a partire dal 1° agosto.
La nuova corsa alle miniere
Nel processo di transizione energetica dalle fonti fossili alle fonti rinnovabili, necessaria a portare il mondo su un sentiero di sviluppo sostenibile, c’è una voragine. E neanche troppo figurata, visto che si sta parlando dell’enorme buco nel terreno che verrà generato dall’estrazione di minerali per soddisfare le esigenze di una popolazione mondiale in crescita. Certo, non si sta parlando di una sola enorme miniera, ma di una nuova corsa all’estrazione di materie prime che sta coinvolgendo tutto il globo.
Il rapporto “Critical minerals market review 2023”, pubblicato a luglio dall’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), afferma che la domanda totale di litio sul mercato mondiale nel 2050 equivarrà a 1.313 kilotonnelate all’anno, se gli accordi di Parigi che prevedono una economia Net zero verranno rispettati. Nel 2021 questa domanda ammontava a 99 kilotonnellate: la differenza è una moltiplicazione per 13. Sempre in una prospettiva Net zero, la domanda di cobalto si moltiplicherà per sei, quella di nickel di più del doppio. In generale, secondo le stime del rapporto World energy outlook 2022, sempre considerando uno scenario dove verranno abbattute le emissioni di gas a effetto serra, la domanda di materie prime per produrre energia pulita nel 2040 sarà sei volte maggiore a quella del 2020. Christophe Poinssot, direttore generale delegato del Bureau de recherches géologiques e minéraires (l’agenzia dello Stato francese che si occupa di ricerca in campo geologico), ha affermato sulle pagine della rivista geopolitica “Le Point” che “per soddisfare i bisogni [in materie prime] necessari per raggiungere l’obiettivo della neutralità carbonica da qui al 2050, devono essere estratte più risorse di quelle estratte negli ultimi 2.500 anni”.
Ma il problema è che i giacimenti di terre rare, litio, nickel, cobalto e tutti gli altri materiali indispensabili alla realizzazione della transizione energetica sono concentrati prevalentemente in alcune zone del mondo: per esempio in Cina viene lavorato e raffinato all’incirca il 90% delle terre rare presenti sul mercato, la Repubblica del Congo estrae più o meno il 70% del cobalto mondiale e l’Australia il 70% di litio. Ciò va a vantaggio dei Paesi che posseggono i giacimenti, perché hanno una posizione di quasi monopolio sul mercato globale, che possono far pesare nei rapporti diplomatici e commerciali con il resto del mondo. Lasciare che un Paese rimanga dipendente dall’importazione di materie prime indispensabili per la transizione energetica va contro ogni tipo di logica della salvaguardia dell’interesse nazionale, perché la sudditanza geopolitica nei confronti del Paese estrattore sarebbe incolmabile. Ma le tensioni geopolitiche sono legate soprattutto alla posizione delle Cina: non solo il gigante asiatico è il primo estrattore di terre rare nel mondo, ma concentra sul suo territorio il più alto tasso di siti di raffinazione di queste materie prime critiche. Più dell’80% delle terre rare a livello mondiale è raffinato in Cina, ma anche quasi il 60% del litio e più del 60% del cobalto di tutto il mondo.
L’Europa e l’Italia
Da inizio anno l’Unione europea sta muovendo dei passi concreti verso l’apertura e la riapertura di miniere nei territori dei Paesi membri. L’obiettivo è di diminuire la dipendenza dell’Unione dall’importazione di materie prime critiche e, in prospettiva, di far diventare l’Europa un attore di peso a livello mondiale nella raffinazione di questi materiali e nella produzione di componenti necessari alla realizzazione di batterie, turbine elettriche, pannelli fotovoltaici.
A marzo, è stato pubblicato dalla Commissione europea lo “European critical raw material act”, un documento che ha catalogato 34 materie prime critiche necessarie all’Ue per realizzare la transizione ecologica. Il testo, che ha la valenza di una proposta di legge europea, ha come obiettivo di assicurare l’approvvigionamento sostenibile dell’Unione di materie prime critiche e pone dei traguardi da raggiungere nel 2030, ovvero:
-estrarre sul territorio europeo almeno il 10% delle materie prime critiche consumate dal mercato interno;
-raffinare sul territorio europeo almeno il 40% delle materie prime critiche consumate dal mercato interno;
-riciclare almeno il 15% delle materie prime critiche consumate dal mercato interno;
- non più del 65% di una materia prima critica consumata nell'Unione deve provenire da un solo Paese esportatore.
Inoltre, il testo punta sulla diffusione di una nuova cultura del riciclo dei rifiuti elettronici che permetta di recuperare i preziosi metalli contenuti in cellulari, computer, schermi ecc. I prodotti che contengono calamite e magneti, per esempio, “dovranno soddisfare i requisiti di circolarità e fornire informazioni sulla riciclabilità e sul contenuto riciclato”, sottolinea la Commissione.
Il governo italiano si sta già muovendo per riaprire le miniere anche nel nostro Paese. Il 14 luglio scorso, il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, ha promesso che entro la fine del 2023 l’esecutivo varerà delle norme che permetteranno di ridurre le tempistiche per aprire nuove miniere sul territorio nazionale.
La proposta di Urso è corroborata da una effettiva opportunità: il territorio italiano ospita 16 delle 34 materie prime critiche individuate dallo European critical material act, soprattutto nell’arco alpino e sulla dorsale appenninica. Il Piemonte conta riserve di cobalto, mentre in Liguria c’è uno dei più grandi giacimenti di titanio al mondo, mentre tra Lazio e Toscana, nella zona intorno al lago di Bolsena, il Cnr ha individuato delle importanti concentrazioni di litio nell’acqua sulfurea. Ma si contano anche grandi giacimenti di materie prime critiche in Sardegna.
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