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In evidenza
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Un anno fa un pugnale per la prima
volta nella storia fu lanciato diritto a Vladimir Putin. La
punta arrestò la sua traiettoria a soli 330 chilometri a sud di
Mosca e non raggiunse il cuore dello zar. Il pugnale fu riposto
nella guaina, ma i due giorni che sconvolsero il mondo, senza
però cambiarlo, della rivolta dei miliziani mercenari della
Wagner capitanati dal comandante e patron Yevgheny Prigozhin e
la loro sortita verso la capitale russa - una scheggia di guerra
civile in pieno grave affanno sul fronte ucraino - segnarono la
più grave minaccia al leader del Cremlino in 23 anni di potere:
la prima diretta, in armi. L'ammutinamento della Wagner, che lo
stesso Prigozhin ribattezzò "Marcia per la giustizia", più che
un putsch pianificato è un sussulto di rabbia e frustrazione: da
mesi il signore della guerra, oligarca e amico di vecchia data
di Putin, lamenta con toni sempre più rabbiosi che i suoi uomini
sono carne da macello in Ucraina, dove muoiono a migliaia, non
ricevono assistenza militare e logistica adeguata al ruolo di
primo piano svolto sul fronte del Donbass, dopo gli enormi
sacrifici per conquistare Bakhmut, dove la Wagner ha perso un
quinto dei suoi 50.000 uomini. Più che con il vecchio amico, nei
suoi furibondi monologhi video Prigozhin se la prende con le
"quinte colonne" asservite a Putin, gli "incapaci" e "corrotti"
Serghey Shoigu, allora ministro della Difesa, e generale Valery
Gerasimov, capo di Stato maggiore, che il capo della Wagner
vuole vengano per lo meno rimossi. La goccia che fa traboccare
il vaso è l'ingiunzione di Shoigu di arruolare i suoi mercenari
nelle forze regolari russe. La marcia di una colonna di mezzi
corazzati, mezzi di supporto e uomini in armi parte la mattina
del 23 giugno e prende senza colpo ferire la cittadina di Rostov
sul Don, vicino al confine orientale ucraino, dove smantella il
comando russo in Ucraina che lì opera. I video in cui i
wagneriani fanno un bagno di folla fanno il giro del mondo e
danno forse anche l'impressione di un certo supporto popolare.
La marcia riparte da Rostov la notte del 24 giugno e punta
dritta su Mosca. Il clima si surriscalda, il Cremlino va in
allarme. E mentre i mezzi militari della colonna wagneriana
abbattono 6 elicotteri d'attacco e un grosso aereo di comando
tattico dell'esercito, la capitale si barrica dietro posti di
blocco e mezzi pesanti e Putin in un discorso in tv grida al
"tradimento", ordina la mobilitazione a difesa di Mosca e
promette punizioni esemplari per i cospiratori. Poi la svolta.
Raggiunta Krasnoye, improvvisamente, la Marcia per la Giustizia
si arresta e fa dietrofront: ufficialmente è stata raggiunta
un'intesa fra il Cremlino e la Wagner, mediata dal presidente
bielorusso Alexander Lukashenko. A Prigozhin viene offerta
l'opzione di trasferirsi in Bielorussia insieme ai mercenari che
non vogliano arruolarsi nell'esercito. E così avviene. Un
compromesso che salva la faccia a entrambi i protagonisti. Ma il
danno è ormai fatto: la verticale del comando ha subito un grave
colpo, l'immagine dello zar come garante di sicurezza e
stabilità è scossa e le enormi difficoltà sul fronte ucraino
sono esposte ai quattro venti. Secondo molti osservatori,
probabilmente la marcia non sarebbe arrivata alle mura del
potere: i mezzi militari erano poche decine e gli uomini fra i 5
e gli 8.000 in tutto, e non i 25.000 dichiarati dall'oligarca.
Una resa onorevole offerta da Putin dunque, che però - è
opinione comune - non avrebbe rinunciato alla
vendetta-avvertimento, con il sospetto incidente aereo che
uccide Prigozhin il 23 agosto, due mesi esatti dopo
l'ammutinamento. Da allora Putin è stato di nuovo capace di
capitalizzare la crisi a suo favore, epurando i suoi nemici,
arruolando i mercenari wagneriani e spedendo gli altri in Africa
a riprendere il lavoro di allargamento dell'influenza russa.
L'elezione di marzo gli ha dato un'investitura senza precedenti,
la guerra in Ucraina ha preso una piega diversa. E il potere
russo ha imparato ancora dai suoi errori: lo zar in marzo ha
rimosso Shoigu dalla Difesa, ma gli ha affidato una carica nel
Consiglio di Sicurezza, tanto per non dare l'impressione
d'essersi fatto dettare le mosse dal ribelle Prigozhin.
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