"Mi hanno sempre attratto persone
capaci di andare controcorrente, anche a costo dell'isolamento,
della solitudine. Persone capaci di raccontare storie, di
mostrare visioni altre. E inevitabilmente hanno acceso la mia
curiosità, perché, come diceva il mio amico Eduardo Galeano,
capace di raccontare la storia dell'America Latina attraverso
racconti ironici e apparentemente non importanti, fatti di
cronaca, 'il cammino si fa andando', non sai mai dove queste
storie ti possano portare. E' il bello della vita, tutto
sommato". Così si raccontava Gianni Minà, signore del
giornalismo, oltre sessant'anni di carriera sempre fuori dal
coro, celebre per le interviste ai grandi personaggi
dell'attualità, della politica, della musica, dello spettacolo e
dello sport - la più celebre quella di sedici ore a Fidel
Castro, nel 1987 - che è morto stasera a Roma all'età di 84
anni, nella clinica Villa del Rosario dopo una breve malattia
cardiaca. Nato a Torino nel 1938, giornalista, autore,
intrattenitore, conduttore, documentarista, appassionato di
America Latina, inventore di Blitz - che negli anni '80
rappresentò su Rai2 il 'rivale innovativo' di Domenica in,
ospitando, tra gli altri, Federico Fellini, Eduardo De Filippo,
Muhammad Ali, Robert De Niro, Jane Fonda, Gabriel Garcia
Marquez, Enzo Ferrari - Minà ha realizzato centinaia di
reportage e interviste per la Rai e non solo. Dai personaggi
incontrati, raccontava, aveva imparato ad "esercitare il
pensiero critico, anzi, il pensiero complesso, e a respirare la
libertà di essere come si è, mostrando soprattutto la propria
fragilità". L'incontro più bello? "Quello con Muhammad Alì, il
più grande di tutti, perché ha rotto un sistema, una cultura.
All'inizio di ogni intervista, esordiva sempre con le sue idee
di riscatto per il popolo nero e enumerava tutto quello che un
nero americano non era riuscito ad avere nella vita: 'Tutti
hanno una terra per la quale lottare, combattere... tutti. Solo
noi, solo i neri d'America non hanno una terra di riferimento'.
Purtroppo le sue battaglie non hanno prodotto grandi
cambiamenti, ma non mi sento di dire che ha perso". Il
personaggio che avrebbe voluto incontrare senza riuscirci?
"Sicuramente Nelson Mandela, ci siamo rincorsi: una volta non
potevo io, una volta non poteva lui. E l'ho perso, come ho
mancato l'intervista a Marcello Mastroianni, una persona gentile
e ironica". Cosa avrebbe fatto se non fosse diventato il
giornalista? "Sono nato giornalista, lo sono stato, lo sono e lo
sarò", aveva sottolineato un anno fa, in occasione della
presentazione al Bif&st del docufilm 'Gianni Minà - Una vita da
giornalista'. Gli inizi della carriera nel 1959 come giornalista
sportivo per Tuttosport, di cui è stato direttore dal 1996 al
1998. Poi l'approdo in Rai come collaboratore dei servizi
sportivi, seguendo per la rete pubblica cinque Olimpiadi, tre
mondiali di calcio e i più importanti incontri di pugilato. Dopo
aver esordito per il rotocalco Sprint, ha realizzato reportage e
documentari per rubriche come Tv7, Dribbling, Odeon. Tutto
quanto fa spettacolo, Gulliver ed è stato tra i fondatori del
programma L'altra domenica. Per il Tg2, dal 1976, ha realizzato
non solo servizi sportivi ma anche reportage dall'America
Latina. Poi ha collaborato a Mixer, ha esordito come autore e
conduttore di Blitz e ha condotto la Domenica sportiva e il talk
show Storie. Ha diretto la rivista letteraria Latinoamerica e
tutti i sud del mondo. Collaboratore per anni di quotidiani come
Repubblica, l'Unità, Corriere della Sera e Manifesto, ha scritto
numerosi libri tra cui Il racconto di Fidel (1988), Un
continente desaparecido (1995), Storie (1997), Un mondo migliore
è possibile. Da Porto Alegre le idee per un futuro vivibile
(2002), Politicamente scorretto (2007), Il mio Alì (2014), Così
va il mondo. Conversazioni su giornalismo, potere e libertà
(2017, con G. De Marzo), Storia di un boxeur latino (2020) e Non
sarò mai un uomo comune (2021).
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