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Gli incidenti di percorso, da Ratisbona a Vatileaks

Gli incidenti di percorso, da Ratisbona a Vatileaks

Le polemiche durante Pontificato, discorso negato alla Sapienza

CITTA' DEL VATICANO, 31 dicembre 2022, 11:20

di Fausto Gasparroni

ANSACheck

Il Papa emerito Benedetto XVI © ANSA/EPA

Il Papa emerito Benedetto XVI © ANSA/EPA
Il Papa emerito Benedetto XVI © ANSA/EPA

Dalla lezione di Ratisbona al caso Vatileaks, dalla 'riabilitazione' di un vescovo negazionista all'intervento 'negato' all'Università La Sapienza, i quasi otto anni di pontificato di Benedetto XVI, fino alla sua storica rinuncia, hanno coinciso con un periodo di forti turbolenze per la Chiesa, di crisi nei rapporti esterni, dovute in parte ad alcuni incidenti di percorso che hanno segnato la permanenza del Papa tedesco sul soglio di Pietro.
    La stessa strenua lotta contro la piaga della pedofilia, la "tolleranza zero" ordinata con merito proprio da papa Ratzinger, da un punto di vista mediatico fu paradossalmente quasi un'arma a doppio taglio, con lo scandalo degli abusi propagatosi a tali livelli quasi da travolgere l'immagine della Chiesa nel mondo.
    IL DISCORSO DI RATISBONA - Come una pericolosa 'gaffe' (anche se da molti rivalutata negli anni successivi) fu vista la lectio magistralis tenuta da Benedetto XVI il 12 settembre 2006 all'Università di Ratisbona durante il suo viaggio in Baviera.
    La citazione di una frase dell'imperatore bizantino Manuele II Paleologo a proposito della guerra santa - "Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava" - provocò nel mondo islamico violente reazioni perché ritenuta offensiva, con massicce proteste di piazza. Successivamente il Papa, durante un Angelus trasmesso anche da Al Jazeera, disse di essere "vivamente rammaricato per le reazioni", specificando di non condividere il pensiero espresso nel testo citato a Ratisbona e invitando l'Islam al dialogo. La crisi però durò a lungo. Altre frasi di Ratzinger sulla necessità di una protezione internazionale dei copti in Egitto determinarono la rottura del dialogo con l'Università di Al-Azhar del Cairo, massimo istituto dell'Islam sunnita, dialogo riallacciato poi solo sotto il pontificato del successore, papa Francesco.
    LA LEZIONE 'NEGATA' ALLA SAPIENZA - Il 15 gennaio 2008, su richiesta del rettore dell'Università di Roma "La Sapienza", il Papa fu invitato ad intervenire all'inaugurazione dell'anno accademico. Tale scelta fu criticata da 67 docenti dell'ateneo, il che portò la Santa Sede a declinare l'invito e suscitò forti polemiche nel mondo politico, giornalistico e universitario.
    LA 'RIABILITAZIONE' DEL VESCOVO NEGAZIONISTA - Un 'incidente' col mondo ebraico fu causato da un passo compiuto da Benedetto XVI nel cammino di riavvicinamento con gli ultra-tradizionalisti scismatici seguaci del vescovo Marcel Lefebvre. Il 21 gennaio 2009 il Papa concesse la remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani e nello stesso giorno la tv svedese Svt rese pubblica un'intervista in cui uno dei quattro, il britannico mons. Richard Williamson, professava una posizione negazionista della Shoah. Il Gran Rabbinato di Israele rimandò subito alcuni incontri col Vaticano. Sollecitato da più parti, il Pontefice nell'udienza generale del 28 gennaio pronunciò parole chiare per contestare ogni forma di negazionismo, esprimere solidarietà agli ebrei e ribadire la volontà di continuare nel dialogo.
    Critiche sulla vicenda giunsero al Papa anche da Angela Merkel.
    Il 4 febbraio, una nota della Segreteria di Stato vaticana definì "assolutamente inaccettabili e fermamente rifiutate dal Santo Padre" le posizioni di mons. Williamson, "non conosciute" dal Pontefice "nel momento della remissione della scomunica".
    IL CASO VATILEAKS, IL MAGGIORDOMO 'INFEDELE' - Un'eco mondiale senza precedenti ebbe nel 2012 lo scandalo della fuga di documenti riservati del Pontefice, molti dei quali rivelavano trame e casi di corruzione in Vaticano, trafugati direttamente dalla segreteria del Papa dal maggiordomo 'infedele' Paolo Gabriele, il laico più vicino al Pontefice, e finiti nel libro "Sua Santità" di Gianluigi Nuzzi. Il 24 maggio, pochi giorni dopo l'uscita del libro, 'Paoletto' - così veniva chiamato nella famiglia pontificia - fu arrestato dalla Gendarmeria e rinchiuso in cella in Vaticano. "Gli eventi degli ultimi giorni riguardo alla Curia e ai miei collaboratori hanno portato tristezza nel mio cuore", disse Ratzinger nell'udienza generale del 30 maggio.
    Dopo un processo durato quattro udienze, Gabriele fu condannato a un anno e sei mesi di reclusione. Condannato a due mesi (sospesi) in un separato processo anche il tecnico informatico della Segreteria di Stato Claudio Sciarpelletti. Il 22 dicembre Benedetto andò a trovare in cella l'ex aiutante di camera e gli diede la grazia. Mancavano meno di due mesi a quell'11 febbraio 2013 in cui, davanti ai cardinali attoniti, rinunciò al Papato.
    LA LETTERA 'SBIANCHETTATA' DA VIGANO' - Tra gli incidenti di percorso, ma successivi alle dimissioni, può annoverarsi la lettera riservata che il Papa emerito inviò nel gennaio 2018 all'allora prefetto della Segreteria per la comunicazione, mons.
    Mario Edoardo Viganò, con cui rifiutava di scrivere una "breve e densa pagina teologica" come introduzione alla collana in 11 volumetti "La teologia di papa Francesco" in uscita per la Lev, curata dal futuro arcivescovo di Torino Roberto Repole. Nella lettera, tra l'altro, Ratzinger esprimeva giudizi su un teologo tedesco a lui avverso e inserito tra gli autori della collana, dicendosi anche sorpreso per questo. All'uscita della pubblicazione, nel marzo successivo, Viganò rese però pubblica solo una parte della missiva - il resto era sfocato nella foto o nascosto -, quella dove Ratzinger descriveva papa Bergoglio come "uomo di profonda formazione filosofica e teologica" e sottolineava "la continuità interiore tra i due pontificati".
    Che il testo non fosse completo venne tuttavia alla luce in brevissimo tempo e, tra aspre polemiche, la lettera fu pubblicata integralmente, ma Viganò dovette dimettersi.
   

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