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Natale con cristiani Egitto,tra paura e dialogo IL REPORTAGE

Natale con cristiani Egitto,tra paura e dialogo IL REPORTAGE

Festa copta si celebra il 7 gennaio dal deserto ai monasteri più antichi del mondo

WADI AL, 27 dicembre 2017, 18:09

Manuela Tulli

ANSACheck

Natale tra i cristiani d 'Egitto - RIPRODUZIONE RISERVATA

Natale tra i cristiani d 'Egitto - RIPRODUZIONE RISERVATA
Natale tra i cristiani d 'Egitto - RIPRODUZIONE RISERVATA

Il presepe nel monastero non è ancora pronto ma nelle prossime ore sarà allestito per abbellire la chiesa il 7 gennaio, giorno in cui ci sarà la lunga messa del Natale dei Copti. Quasi quattro ore tra canti e preghiere, dove l'arabo si alterna al copto, una sorta di greco antico. E' il Natale che si prepara nel deserto, a Wadi Al-Natrun, in Egitto, quasi tre ore dal Cairo, tempeste di sabbia permettendo. Qui ci sono quattro tra i monasteri più antichi del mondo, dove è nato il monachesimo oltre 1700 anni fa e che oggi rifiorisce con la presenza di centinaia di religiosi.

Nel monastero di San Bishoi sono circa duecento; più o meno altrettanti nei tre conventi limitrofi. Vere e proprie oasi, punti di riferimento per la gente dei villaggi. I monaci sono padri spirituali, teologi, ma anche medici, agronomi, ingegneri, fisioterapisti, dentisti, farmacisti. Arrivano al convento tutti con una laurea in tasca, pronti ad insegnare nuove tecniche agricole o a curare malattie. Traducono manoscritti antichi ma non disegnano smartphone, web e tv perché, come dice Abuna Sarabamun, "dobbiamo restare in contatto con il mondo, sapere che cosa accade, anche per pregare per la gente fuori di qui".

Il Natale è dunque alle porte "ma il presepe lo facciamo solo qualche giorno prima", dice sorridendo il monaco col saio e la calotta nera ricamata con dodici stelle dorate, tante quanti sono gli apostoli. La messa, i canti e poi "la festa con i vicini, quasi tutti musulmani, con i quali condividiamo il cibo, dolci, soprattutto cioccolata". E per i monaci sarà anche la fine del lungo digiuno, 43 giorni di pasti frugali, a base solo di cereali e verdure. Una festa dei cristiani da condividere dunque con musulmani.

 E in questo senso importante è stata oggi la visita del Grande Imam di Al-Azhar, Mohamed Al-Tayyeb, a Papa Tawadros nella Cattedrale ortodossa di Abbassiya, proprio in vista delle prossime celebrazioni natalizie.  "Le relazioni sono molto strette, viviamo insieme da secoli", dice Abuna Makary del monastero di Baramos, sempre nella valle del nitro, il sale caro ai faraoni che consentiva di mummificare i corpi; il monaco ci accompagna, piedi scalzi proprio come in moschea, nella chiesa incastonata tra le cupole color sabbia, come quella del deserto attorno.

Ma questo dialogo secolare tra cristiani e musulmani non cancella le paure di una Chiesa da sempre 'ferita'. I monasteri costruiti sin dall'origine come fortezze, con tanto di cunicoli e passerelle di legno per fuggire all'occorrenza, sono accessibili solo dopo stretti controlli, tra metal detector e torrette presidiate dai militari. Lungo la via ci sono, sparsi come per caso, anche presidi pesanti, con carri armati e giovani con elmetti e giubbotti antiproiettili.

Sorveglianza strettissima anche nelle chiese del vecchio Cairo, dove le misure di sicurezza sono state rafforzate nell'ultimo anno. Le telecamere sono anche dentro le chiese, fin sopra l'altare dove si celebra messa. D'altronde, proprio dentro il 'vaticano' dei Copti, nella Cattedrale di San Pietro, un anno fa (l'11 dicembre del 2016) 29 persone furono uccise da un kamikaze fondamentalista islamico. Entrando, una delle prime colonne a destra porta ancora i segni dell'esplosione. "Qui - mostra tutto intorno con la mano il generale Kabil Raid, responsabile della sicurezza - era tutto un lago di sangue. Quel giorno c'ero, è stata una giornata difficile. Certamente per i cristiani. Ma anche per tutti gli egiziani". E fuori dei grandi pannelli rivestono il chiostro ricordando i bei sorrisi delle 29 vittime, quasi tutte giovani donne.

Ma nonostante le paure, il vicino monastero delle suore di San Giorgio, il 7 gennaio, aprirà la sua altissima porta di legno, oltre sette metri, perché "tutto il vicinato verrà a farci gli auguri di Natale", dice la superiora davanti al presepe già allestito da giorni, accanto ad un grande Babbo Natale. "Prepareremo come sempre dolci per tutti". Paura? "No - rispondono sicure le monache -, la nostra è una Chiesa di martiri e questa è la nostra protezione. Il Natale porta un messaggio di pace e non possiamo non condividerlo con i nostri fratelli musulmani".

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