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Biden: Netanyahu sta facendo un errore su Gaza

Biden: Netanyahu sta facendo un errore su Gaza

Israele prepara l'evacuazione di Rafah, gli Usa frenano

10 aprile 2024, 12:29

Redazione ANSA

ANSACheck

Rafah © ANSA/AFP

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu sta facendo un errore sulla Striscia di Gaza: "non sono d'accordo con il suo approccio". Lo ha detto il presidente americano Joe Biden in un'intervista a Univision.

L'agenzia di stampa palestinese Wafa afferma che almeno 14 persone sono morte in un bombardamento delle forze di Israele che ieri sera ha colpito una casa nel campo profughi di Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza. Il bilancio delle vittime palestinesi nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre è di almeno 33.360 morti e 75.993 feriti, secondo il Ministero della Sanità locale gestito da Hamas.

L'umanità e la comunità internazionale hanno perso la loro "bussola morale" nella Striscia di Gaza: lo afferma la vicesegretaria generale delle Nazioni Unite, Amina Mohammed. "Ciò che mi preoccupa profondamente è che abbiamo perso la nostra bussola morale riguardo a Gaza, come umanità, come comunità internazionale", ha dichiarato la Mohammed in conferenza stampa. "Dobbiamo fare qualcosa e in fretta. Migliaia di bambini continuano a perdere la vita, a vivere da amputati. E centinaia di persone aspettano di tornare a casa, come gli ostaggi", ha aggiunto la vice di Antonio Guterres.

 Il Comando centrale degli Stati Uniti (Centcom) afferma che ieri ha condotto un lancio aereo di assistenza umanitaria nel nord della Striscia di Gaza, "per fornire aiuti essenziali ai civili colpiti dal conflitto in corso". In un comunicato pubblicato oggi sul suo account X il Centcom spiega che l'operazione è stata effettuata con quattro aerei C-130 dell'aeronautica americana "che hanno sganciato l'equivalente di circa 50.600 pasti". Ad oggi gli Usa hanno lanciato sull'enclave palestinese circa 797 tonnellate di aiuti umanitari, rende noto il Centcom.

L'Irlanda si prepara a riconoscere uno Stato palestinese nelle prossime settimane, ha detto ieri sera a Dublino il ministro degli Esteri irlandese Micheal Martin. Martin ha annunciato la sua intenzione di presentare al governo una proposta formale sul riconoscimento di uno Stato palestinese una volta completate le "discussioni internazionali più ampie". "Non ho dubbi che il riconoscimento dello Stato palestinese avrà luogo", ha detto il ministro degli Esteri in un discorso al parlamento irlandese. Ritardare il riconoscimento "non è più né credibile né sostenibile", secondo lui.
Martin ha poi dichiarato al sito di notizie irlandese The Journal che la proposta formale sarà avanzata "nelle prossime settimane". Ha detto di aver discusso del riconoscimento con altri paesi coinvolti in iniziative di pace negli ultimi sei mesi. A marzo i leader di Spagna, Irlanda, Slovacchia e Malta hanno affermato in una dichiarazione congiunta di essere pronti a riconoscere l'esistenza di uno Stato palestinese. L'Irlanda ha da tempo indicato di non avere obiezioni di principio al riconoscimento ufficiale dello Stato palestinese se volesse contribuire al processo di pace in Medio Oriente. Ma la guerra nella Striscia di Gaza ha riproposto questa questione. "Non c'è dubbio che siano stati commessi crimini di guerra e condanno categoricamente i continui bombardamenti sulla popolazione" dell'enclave palestinese, ha affermato Martin. Il riconoscimento dello Stato "potrebbe servire da catalizzatore per aiutare il popolo di Gaza e della Cisgiordania e per portare avanti un'iniziativa di pace a guida araba", ha aggiunto. 

Israele non molla su Rafah e prepara l'evacuazione della città più a sud della Striscia in vista dell'operazione militare per cui il premier Benyamin Netanyahu ieri ha annunciato di avere una "data", senza tuttavia a quanto pare averla comunicata agli americani. "Continuiamo ad avere un dialogo con Israele su un'eventuale operazione a Rafah - ha commentato il segretario di Stato Usa Antony Blinken - e siamo profondamente preoccupati per la sicurezza dei civili". Ma, ha aggiunto, a Washington non è stata comunicata "nessuna data".
E il consigliere per la sicurezza nazionale americana Jake Sullivan in un briefing alla Casa Bianca ha sottolineato: "Non abbiamo ancora visto un piano credibile e fattibile per portare i civili fuori da Rafah". Israele non ha presentato un piano "dettagliato su come ospitare, nutrire e fornire medicine ai civili", ha spiegato. Inoltre, la risposta di Hamas al cessate il fuoco finora è stata "meno che incoraggiante", ha concluso Sullivan.


Continua intanto ad approfondirsi il solco tra Erdogan e Israele, con il primo che ha annunciato limiti alle esportazioni verso lo Stato ebraico, subito ricambiato dal governo a Gerusalemme. Obiettivo di Israele resta dunque l'operazione a Rafah, preceduta dall'evacuazione dei civili. Una fonte israeliana - citata dall'Associated Press - ha fatto sapere che Israele a questo scopo sta acquistando 40.000 tende dove ospitare gli sfollati, anche se questo appare una goccia nel mare di un milione e mezzo di persone che popolano attualmente la città.

L'unica possibilità di far slittare l'ingresso dei soldati israeliani a Rafah sarebbe un'intesa su una tregua nei negoziati indiretti in corso al Cairo. Gli Usa stanno spingendo per sei settimane di cessate il fuoco in cambio di 40 ostaggi israeliani, la liberazione di 900 detenuti palestinesi e il rientro al nord di Gaza di una parte degli sfollati. Ma le notizie che arrivano dalla capitale egiziana sia da parte di Hamas sia da parte di Israele non sono incoraggianti: le posizioni sono distanti, soprattutto sulla tregua temporanea e il ritiro dell'Idf da tutta la Striscia come pretende Hamas. Proprio la richiesta di un cessate il fuoco immediato da parte di Israele e l'ingresso di aiuti a Gaza sono stati i due punti richiamati dalla Turchia nel giustificare la decisione di imporre limiti alle esportazioni di numerosi beni verso Tel Aviv, compresi prodotti in acciaio, ferro e alluminio.

Una mossa alla quale Israele ha risposto decidendo di allargare la lista dei prodotti turchi che non entreranno più nello Stato ebraico. Il ministro degli Esteri Israel Katz ha poi annunciato di voler chiedere "ai Paesi filo-israeliani e alle organizzazioni negli Usa" di "interrompere gli investimenti in Turchia" e imporre "sanzioni" ad Ankara. Nel frattempo continua a covare sotto le ceneri lo scontro tra Israele e Iran, con Teheran intenzionata a vendicare l'uccisione a Damasco di un generale dei pasdaran. Secondo fonti vicine all'intelligence Usa, l'Iran non attaccherà direttamente ma colpirà attraverso le milizie alleate nella regione. Teheran avrebbe esortato molti dei suoi alleati a lanciare un attacco simultaneo su larga scala contro Israele usando droni e missili, forse già questa settimana. "L'unico modo per combattere i sionisti è formare una coalizione di eserciti islamici", ha minacciato anche oggi il comandante della Marina delle Guardie rivoluzionarie iraniane, Alireza Tangsiri. Israele non è rimasto guardare: in questi giorni ha completato la maggiore esercitazione al confine nord con il Libano che ha visto coinvolte la 146/esima Divisione, forze della Marina, dall'Aeronautica, della polizia e dei servizi di pronto soccorso.

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