Fino a poche settimane fa era lo zimbello dei suoi detrattori, concretamente a rischio di perdere la poltrona di premier britannico sull'onda delle beghe interne al Regno Unito e alla parrocchia Tory innescate dallo scandalo del 'Partygate'. Ora Boris Johnson può fregiarsi invece dei titoli di "leader della coalizione occidentale" contro la guerra di Vladimir Putin in Ucraina, "leader del sostegno" militare a Kiev, "leader delle sanzioni contro l'aggressore russo".
Titoli assegnati da Volodymyr Zelensky in persona, e dal suo entourage, a margine delle visita ieri a sorpresa a Kiev di BoJo: preceduto di un giorno dai vertici dell'Ue, ma primo fra i capi di Stato o di governo del G7 a sfidare le raccomandazioni alla cautela dell'intelligence per una missione "di solidarietà" accolta dal presidente ucraino con accenti di elogio a tutto tondo non concessi finora a nessun altro fra i "partner occidentali". Un'accoglienza che potrebbe rilanciare le prospettive future del primo ministro di Sua Maestà in patria, e in ogni caso rappresenta una medaglia sull'arena internazionale. Alla base di questi riconoscimenti c'è il rapporto anche personale stabilito con colui che Boris ha chiamato "il mio amico Volodymyr" - ricambiato da un "benvenuto amico mio" di risposta - costruito attraverso telefonate pressoché quotidiane dal 24 febbraio e le capacità istintive di tatto umano riconosciute da quasi tutti all'inquilino di Downing Street. Ma c'è soprattutto il ruolo guida "di esempio" attribuito da Kiev al governo del Regno in seno alla Nato nell'escalation strategica di forniture belliche a sostegno "dell'eroismo degli ucraini": suggellata giusto ieri dall'annuncio dell'invio di altri 120 blindati e di moderni missili anti-nave.
Aiuti necessari, nei proclami sempre più simil-churchilliani del premier Tory, a puntellare gli sforzi di "un popolo di ferro" - come ha detto riferendosi al personale ferroviario del treno che ieri lo ha portato in gran segreto dalla Polonia all'Ucraina, senza i preannunci che avevano anticipato la visita di Ursula von der Leyen e Josep Borrell - di fronte alla "barbara aggressione" di Mosca. Un'aggressione che nella visione johnsoniana è destinata a "macchiare per sempre" l'eredità di Putin, ma può ancora concludersi in una punizione pesante per lo zar: la cui caduta BoJo insiste pragmaticamente da giorni a rifiutarsi d'indicare come obiettivo di guerra, al contrario di quanto sbandierato (almeno a parole) dall'alleato Usa, Joe Biden; limitandosi semmai ad auspicarla in un avvenire indeterminato.
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