Storici, ricercatori, studiosi di
varie università italiane parteciperanno per due giorni, il 17 e
18 maggio, a Palermo a una riflessione promossa dall'Istituto
Gramsci Siciliano sul travagliato passaggio dal fascismo alla
democrazia. Quel processo era cominciato proprio in Sicilia con
lo sbarco degli alleati il 10 luglio 1943 e aveva determinato,
con il crollo del nazifascismo e delle sue basi di massa, un
nuovo ordine mondiale.
L'accoglienza riservata agli invasori alleati ha
rappresentato, secondo la storica Manoela Patti dell'università
di Palermo e autrice di studi sulla Sicilia e gli alleati,
"l'aspetto più evidente di questo processo, maturato nella
popolazione civile e nell'esercito durante i difficili anni del
conflitto". Gli occupanti si trasformarono così in liberatori e
la popolazione "ne salutò l'arrivo come il momento che segnava
la fine della guerra".
"L'isola - è il giudizio di Patti - fu il primo pezzo
d'Italia ma anche d'Europa conquistato, occupato e amministrato
dagli anglo-americani. Per questo essa rappresentò per gli
alleati un laboratorio in cui sperimentare le politiche
d'occupazione, da estendere ai territori occupati, che cercavano
di conciliare il principio dell'autodeterminazione dei popoli
con le necessità militari".
Per alcuni mesi la Sicilia rimase fuori dal processo avviato
con lo sbarco prima e la caduta del fascismo dopo. "Furono i
partiti politici a dimensione nazionale a riannodare le fila con
la società nazionale, a raccogliere nella società regionale le
energie necessarie per affrontare problemi antichi e recenti",
sostiene lo storico Rosario Mangiameli che sullo sbarco e sul
dopoguerra siciliano ha fatto importanti ricerche. Il processo
democratico passò in Sicilia attraverso la spinta alla
partecipazione e le lotte del movimento contadino. "All'utopia
reazione proposta dai separatisti e all'insorgenza di una mafia
legata agli interessi del latifondo i partiti nazionali
contrapposero - sottolinea Mangiameli - un progetto autonomista
come programma di sviluppo inquadrato in una visione
perequativa". La Sicilia diventò così laboratorio non solo
politico ma anche culturale e sociale "parte importante
dell'Italia democratica".
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