Non ci fu "nessun accordo
collusivo". Con una sentenza di 100 pagine il gup Stefano Sala
spiega le ragioni per le quali lo scorso 12 maggio, direttamente
all'udienza preliminare, ha prosciolto alcune dirigenti e
funzionarie dei servizi sociali del Comune di Torino dall'accusa
di avere dato vita a un 'caso Bibbiano' nel capoluogo
piemontese. La vicenda si riferiva all'affidamento di due bimbi
di origine nigeriana, nel 2013, a una coppia di donne che,
durante l'iter, si erano affidate alle consulenze specialistiche
di Nadia Bolognini, psicoterapeuta ed ex moglie di Claudio Foti,
lo psicoterapeuta coinvolto e poi assolto in via definitiva nel
processo celebrato in Emilia Romagna. Per la Bolognini e le due
donne il gup ha disposto il rinvio a giudizio. Però non ha
ravvisato nessuna complicità nelle operatrici del Comune e, in
base alle direttive della cosiddetta 'riforma Cartabia', ha
optato per il loro proscioglimento immediato sottolineando più
volte che, per ciascuno dei numerosi capi d'accusa, bisogna
esprimere una "prognosi negativa circa la probabilità di una
condanna" e che il processo non cambierebbe la situazione.
Secondo il giudice furono le donne ad affidarsi alla Bolognini e
le funzionarie del Comune "non furono minimamente coinvolte".
Tanto meno furono stretti accordi "per manipolare le
informazioni". Nessuno degli esperti, inoltre, all'epoca dei
fatti "aveva ragione di dubitare delle dichiarazioni" della
specialista.
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