Aveva denunciato la sua famiglia
sostenendo di essere stata costretta a rubare: il gesto di una
ragazzina di origini nomadi ha prodotto un caso giudiziario che,
a Torino, oggi è giunto al vaglio della Corte d'appello. I
giudici hanno ridotto di un mese la condanna inflitta in primo
grado al padre, ai nonni e agli zii della bambina, riconoscendo
le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti: la nuova
pena è così di due anni e quattro mesi di carcere.
La giovane, che si è costituita parte civile con l'avvocato
Roberto Saraniti, nel 2018 - quando aveva 14 anni - si presentò
spontaneamente ai carabinieri per raccontare la sua storia. Solo
pochi giorni prima era stata fermata per un tentativo di furto
in un negozio di scarpe e, non essendo imputabile, era stata
riconsegnata alla nonna senza altre conseguenze. Nella denuncia
spiegò che se non portava alla famiglia un bottino sufficiente
veniva maltrattata.
I parenti però hanno sempre negato le accuse. "La decisione
della Corte - commentano i difensori, gli avvocati Vittorio e
Francesco Pesavento - ci lascia perplessi. Era stato lo stesso
giudice relatore a sottolineare le forti criticità della
sentenza di primo grado. Ricorreremo in Cassazione".
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