Dopo quello sul gruppo Campari, spunta un altro caso, anche se più datato, su una presunta evasione fiscale da parte di Google stimata dalla Guardia di Finanza di Milano di poco meno di 900 milioni e per la quale ora l'agenzia delle entrate chiede alla web company californiana di versare oltre un miliardo di euro, compresi sanzione e interessi.
Come è accaduto per la società leader nel settore delle bevande alcoliche e analcoliche, anche in questo caso a portare la Procura milanese ad aprire un fascicolo è stata la trasmissione degli esiti delle verifiche fiscali chiuse un anno fa, con anche la denuncia di uno degli amministratori esteri, dal Nucleo di Polizia Economico Finanziaria. Verifiche che hanno ipotizzato una "stabile organizzazione immateriale", dotata di una sede di affari nel capoluogo lombardo, della filiale europea che ha il quartier generale a Dublino e, di conseguenza, una imposta evasa (Ires) stimata per 108 milioni su un imponibile superiore a 400 milioni. A ciò si aggiunge, secondo i calcoli, il mancato versamento nel nostro Paese delle royalties sui beni e servizi immateriali (licenze e software) fornite dalla società irlandese per oltre 760 milioni. Sono conti, questi, su cui l'Agenzia delle Entrate avrà l'ultima parola. Al momento, ha chiesto più di un miliardo per sanare la situazione con l'erario, ma la cifra verrà discussa con la controparte e probabilmente si arriverà a un accordo per un importo minore. Non è la prima volta che la multinazionale americana finisce sotto indagine. Nel 2017 il gruppo di Mountain View, con versamento di 306 milioni, aveva chiuso le pendenze tributarie e sanato pure situazioni dei 15 anni precedenti.
L'inchiesta penale, nella quale erano iscritti 5 manager per una evasione pari a 98,2 milioni di euro di imposta sui redditi di impresa , si era conclusa con un patteggiamento e quattro archiviazioni.
La nuova inchiesta fiscale, coordinata dai pm Giovanna Cavalleri e Giovanni Polizzi, per certi versi ricalca quella su Netflix, società che nel maggio di due anni fa ha pagato 55 milioni e 850 mila euro circa in un'unica soluzione e ha aperto una sede operativa nel nostro Paese. Al gruppo statunitense che distribuisce film e serie televisive in streaming via internet e guidata da Red Hastings è stata contestata, per la prima volta a livello mondiale, "una stabile organizzazione occulta di una società estera operante della digital economy - come era stato spiegato ai tempi in una nota dalla Procura milanese -, completamente priva di personale e caratterizzata esclusivamente da una struttura tecnologica avanzata". Struttura che "sarebbe stata asservita in via esclusiva allo svolgimento di funzioni aziendali chiave per la conduzione del proprio business sul territorio dello Stato" italiano.
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