Se gli alieni arrivassero domani
sulla Terra e ci chiedessero di consegnargli un elenco dei
musicisti che hanno lasciato un'impronta profonda come Armstrong
sulla Luna, nell'elenco ci sarebbe il nome di Herbie Hancock.
Lasciamo perdere "Cantaloupe Island", fingiamo che non esista il
periodo degli "Headhunters", dovremmo tenerlo in conto già solo
per "I thought it was you", il brano più incisivo di
"Sunlinght", che anticipava di parecchi decenni la musica dei
Daft Punk. Era il 1978. Sulla copertina di quel disco Hancock
sorrideva marpione con capelli cotonati, catena d'oro, e camicia
dal collo ampio. Ieri, 1 novembre 2019, 41 anni dopo, Hancock
aveva lo stesso ghigno divertito sul palco del Conservatorio di
Milano per l'evento del JazzMi. Tra i 190 eventi quello del
musicista di Chicago era tra i più attesi. In sala non una sola
poltrona libera. Il vero concerto arriva col bis, quando gli
argini dei posti numerati cedono sotto il peso dell'amore dei
fan e tutti si trovano per magia sotto al palco.
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