Potrebbe essere applicato lo scudo
penale ai medici accusati della morte di Daniele D'Amato, 48
anni, zio della campionessa olimpica Alice. L'uomo era finito in
ospedale ed era stato dimesso per tre volte con la diagnosi di
lombosciatalgia quando in realtà aveva una dissezione aortica.
Il giudice per l'udienza preliminare Angela Nutini ha disposto
una perizia per capire, oltre al nesso causale e all'eventuale
colpa, se possa essere applicata la misura inserita nel decreto
milleproroghe che prevede l'estensione dello scudo penale,
previsto per l'emergenza Covid per il personale medico in
situazioni di carenza di personale sanitario o in particolari
contesti lavorativi come quelli del pronto soccorso. A eseguire
la perizia sarà il medico legale Davide Bedocchi.
Per quella morte, il pubblico ministero Francesca Rombolà ha
chiesto il rinvio a giudizio per due medici rispettivamente
dell'ospedale di Novi Ligure e del San Martino di Genova (difesi
dagli avvocati Gianluca Franchi, Salvatore Leggio, Antonio
Rubino e Giuseppe Caccamo).
La vicenda risale al 2021. D'Amato, secondo quanto denunciato
dai familiari assistiti dall'avvocato Alberto La Camera, si è
presentato il 23 maggio in ospedale con forti dolori e la
pressione molto alta. Qui viene visitato da un medico a gettone
che non riesce nemmeno ad accedere al sistema informatico visto
che non è dipendente. D'Amato firma per le dimissioni e va via
alle 7 del mattino. Un paio di ore dopo è tornato nello stesso
ospedale, con l'elicottero, lamentando dolore lombare dopo
sforzo nella giornata precedente in ernia discale. Al secondo
accesso, scrive il pm nella sua richiesta di rinvio a giudizio,
il dottore ha omesso "di completare la raccolta anamnestica e
l'esame obiettivo del paziente non eseguiti esaustivamente al
precedente accesso" e invece di trattenerlo lo dimette. Alla
terza volta viene trasportato all'ospedale San Martino dove poi
morirà giorni dopo.
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