(di Chiara Venuto)
Non si organizzava una mostra
dedicata all'espressionismo italiano dal 1990, quando Renato
Barilli e Alessandra Borgogelli ne curarono una alla Mole
Antonelliana, a Torino. Ma le cose cambiano. Da domani e fino al
2 febbraio 2025 la Galleria d'arte moderna di Roma ospiterà
'L'estetica della deformazione. Protagonisti dell'espressionismo
italiano', una mostra curata Arianna Angelelli, Daniele Fenaroli
e Daniela Vasta. Tra le sue sale, 130 opere della Gam, della
collezione Giuseppe Iannaccone di Milano e quelle capitoline dei
Musei di Villa Torlonia e della Casa museo Alberto Moravia.
L'idea è quella di rispondere alla domanda se si possa
davvero parlare di un espressionismo italiano. Per farlo,
l'esposizione è stata divisa in tre su base geografica: Roma,
Torino, Milano. Rispettivamente: la Scuola di via Cavour, i Sei
di Torino, la Corrente di Vita giovanile. Un arcipelago di
esperienze collegate tra di loro dall'aver guardato ad altre
forme d'arte. E aver trovato una visione comune che viene ben
riassunta dalla citazione di Arnaldo Babodi in apertura della
mostra: "La deformazione è un principio fondamentale dell'arte".
"Già negli anni Venti c'era la fotografia - spiega una delle
curatrici, Daniela Vasta - ma questi artisti percorrono un
sentiero alternativo, la forma deformante e il colore". Una
"deformazione" che rappresenta il modo soggettivo che l'artista
ha di guardare alla realtà, ma che allo stesso tempo ha permesso
agli espressionisti italiani di "raccontare una storia
dell'Italia incredibilmente vera in un periodo in cui un'arte
libera non era possibile", racconta il curatore della collezione
Iannaccone, Daniele Fenaroli.
Un'idea evidente fin dall'opera che, entrando, apre
l'esposizione. È "Il Cardinal decano" di Gino Bonichi, in arte
Scipione: il porporato si trova in un'atmosfera apocalittica,
attorniato dai simboli del potere ecclesiastico. Deformato è
anche il volto di Scipione stesso nel suo autoritratto, che
affianca quello del cardinal Vannutelli. E non sono realistici
nemmeno i colori della Roma di Antonietta Raphaël, che nei blu,
verdi e gialli della sua pittura porta il ricordo della
Lituania. Regole che valgono anche per le pennellate di Fausto
Pirandello, con i suoi corpi carichi di colore in "Composizione
(Siesta Rustica)", nelle linee scomparse e sostituite da
pennellate fluttuanti di Carlo Levi. E che si ritrovano nel
'rosso operaio' - così lo definiva Pier Paolo Pasolini - di
Renato Guttuso, soprattutto nei tre ritratti che fa di sé, Mario
Alicata e Antonino Santangelo. Infine, a dominare l'ultima sala
c'è la "Battaglia dei tre cavalieri" di Aligi Sassu, una scena
mitologica che l'artista esegue dopo la detenzione per motivi
politici, e in cui rappresenta l'inutilità della guerra.
Oltre alla mostra, la Gam ospiterà fino al 3 novembre anche
"À jour", un progetto dell'artista Laura VdB (Van der Bol)
Facchini. Si tratta di un'installazione che avvolgerà l'edificio
della galleria, che ha sede nell'ex convento delle Carmelitane
scalze a san Giuseppe a Capo le case, dalla facciata al
chiostro. È una specie di grande arazzo tridimensionale composto
dal ricamo di strisce di polietilene bianco e trasparente,
ricamate, lavorate e intrecciate.
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