Danilo Coppola era "consapevole del
grave dissesto societario" del gruppo Tikal "che presupponeva
sin dal 2006 la cessazione di ogni attività", ma avrebbe deciso
"di mantenerle in vita al solo fine di recuperarne per sé il
valore economico precedentemente investito", con "perseveranza"
a "discapito degli interessi dei creditori".
Lo scrivono i giudici della seconda sezione penale di Milano
(Mancini-Ballesi-Lentini) nelle motivazioni della sentenza con
cui, il 19 marzo, è stata inflitta un'altra condanna per
bancarotta a 2 anni e 8 mesi per l'immobiliarista romano - che
all'epoca dei "furbetti del quartierino" aveva patteggiato per
il caso Antonveneta - nel processo milanese per il caso
cosiddetto "Porta Vittoria bis". Una condanna che ha portato la
pena finale, "in continuazione" con quella del precedente
filone, a 9 anni e 8 mesi.
Come aveva già spiegato il legale di Coppola, l'avvocato
Gaetano De Perna, che presenterà ricorso in appello, con il
verdetto dello scorso marzo Coppola è stato prosciolto e assolto
da quattro imputazioni: una di sottrazione fraudolenta al
pagamento delle imposte, una di bancarotta fraudolenta
documentale e due di "bancarotta fraudolenta patrimoniale",
mentre è stato condannato per due episodi di bancarotta
fraudolenta patrimoniale e per un'imputazione di bancarotta
documentale. La Procura aveva chiesto una condanna a 6 anni.
Tra i casi al centro di questo filone processuale c'era
appunto il fallimento del 2015 della holding Tikal srl,
"attività sociale" mandata avanti, secondo l'accusa, "nonostante
il patrimonio netto fosse già negativo" a fine 2006 "per circa
70 milioni di euro".
Di recente gli Emirati Arabi hanno respinto la richiesta di
estradizione dell'Italia per Coppola, che si trova a Dubai e che
doveva scontare una pena definitiva di oltre 6 anni per la
condanna del 2022 per bancarotta per i fallimenti del Gruppo
Immobiliare 2004, di Mib Prima spa e di Porta Vittoria spa.
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