(di Giovanni Innamorati)
Rissa sfiorata ieri durante l'esame
del premierato in Aula a Palazzo Madama, con il senatore di Fdi
Roberto Menia precipitatosi contro i banchi delle minoranze,
affrontato da Marco Croatti di M5s, e fermato da commessi e
colleghi. Un episodio che ha inasprito ulteriormente il
confronto, già molto teso, tra centrodestra e opposizioni.
Queste ultime contestano il contingentamento dei tempi deciso
dalla maggioranza su una riforma costituzionale, e insistono
sullo "scambio" tra i tre partiti della coalizione di governo
sulle riforme del premierato, dell'autonomia e della giustizia.
La maggioranza ha invece rivendicato come parte del programma
elettorale l'attuazione di questi provvedimenti, ed ha intanto
portato a casa anche il quarto articolo del premierato. L'aula
di Palazzo Madama è stata impegnata anche nel voto degli
emendamenti al terzo articolo del ddl, che modifica il semestre
bianco. Dopo un intervento sferzante di Ettore Licheri (M5s),
("pensate di poter far tutto, fermare i treni o cambiare la
Costituzione, perchè voi siete Giorgia") gli animi si sono
accesi. Dai banchi del Pd Simona Malpezzi si è avvicinata al
banco della presidenza accusando Menia di aver insultato i
senatori d'opposizione, accusa fatta a voce alta anche da
FIlippo Sensi. A quel punto Menia si è precipitato verso i
banchi del centrosinistra, inutilmente placcato dal questore
Antonio De Poli, ma affrontato dall'aitante senatore di M5s
Croatti. I commessi e i colleghi dei due senatori si sono
frapposti. Allo scontro in Aula ne è subentrato uno dietro le
quinte: il presidente Ignazio La Russa ha incaricato i tre
senatori questori di preparare una istruttoria per eventuali
sanzioni da parte dell'ufficio di Presidenza; e qui centrodestra
e centrosinistra hanno ripreso a scontrarsi sulle
responsabilità. La contestazione delle opposizioni riguarda il
contingentamento dei tempi deciso dal centrodestra su una
riforma costituzionale, a cui si aggiungono le poche sedute
dedicate al ddl, meno della metà rispetto a quelle che nel 2014
furono dedicate dal Senato alla riforma Boschi-Renzi, come ha
sottolineato Peppe De Cristofaro (Avs). Dopo un ulteriore
ricorso al "canguro" , cioè alla bocciatura con un solo voto di
più emendamenti simili, è scattata nel pomeriggio una protesta,
più che altro simbolica ma teatrale, innescata da Alessandro
Alfieri che si è tolto la giacca, imitato da tutti i senatori di
opposizione, che sono rimasti in camicia: una violazione del
regolamento di Palazzo Madama che impone giacca e cravatta, per
rispondere a "una maggioranza sorda che non cerca un terreno
comune sul terreno delle regole". In ogni caso la maggioranza ha
potuto portare a casa il terzo e il quarto degli otto articoli
del ddl Casellati. Certo, sono gli articoli più semplici,
rispetto ai successivi quattro, sui quali insistono 2mila
emendamenti. L'articolo 3 modifica il semestre bianco, durante
il quale il Presidente della Repubblica non puo' sciogliere le
Camere. Con la modifica lo scioglimento potrà avvenire quando il
premier eletto viene sfiduciato o quando egli si dimette e
chiede il ritorno alle urne, come prevede il successivo articolo
7. Il quarto articolo elimina l'obbligo della controfirma da
parte del governo di una serie di atti propri del Presidente
della Repubblica, per assicurarne l'indipendenza. Una norma
proposta da Marcello Pera. Ad animare il dibattito in Aula è
stata anche l'approvazione da parte del Consiglio dei ministri
della riforma della giustizia, che ha spinto le opposizioni a
parlare di un "baratto" tra Fdi, Lega e Fi sulle tre riforme
care ai tre partiti (premierato, autonomia e giustizia). "Pare
più uno scambio di prigionieri sul ponte delle spie che un
accordo tra alleati", ha ironizzato Sensi. Una tesi respinta da
Maurizio Gasparri (Fi), Lucio Malan (Fdi) e Massimiliano Romeo
(Lega).
Riproduzione riservata © Copyright ANSA