"Mi fa male la disinvoltura con
cui si inneggia al suicidio assistito come a una conquista, come
a un progresso. Io penso che il vero progresso sia una società
nella quale si condividono gioie e fatiche. Progresso è
un'assistenza di qualità, un'adeguata alleanza terapeutica". Lo
scrive il vescovo di Trieste, monsignor Enrico Trevisi, in un
messaggio diffuso dopo la morte di 'Anna', la donna di 55 anni
di Trieste che ha avuto accesso al suicidio assistito con
l'assistenza diretta del sistema sanitario nazionale.
"Insieme ci si aiuta anche dentro gli anfratti opachi, come
sono certe malattie", aggiunge Trevisi. "Affido Anna al Signore.
Noi crediamo nel Dio della vita e a Lui affidiamo tutti i nostri
defunti e pure i nostri malati, nella loro fatica di sopportare
il dolore fisico (per il quale non sempre sono a disposizione le
cure palliative che potrebbero essere di grande aiuto) e la
sofferenza per la propria inabilità, per il dare senso alla
propria condizione di grave disabilità, dell'aspettare una morte
che pare tardare e accrescere l'angoscia".
"Già abbiamo avuto modo - osserva - come vescovi del
Triveneto, di esprimere la nostra riflessione sul suicidio
assistito e sulla pressione politica e massmediale a favore
dell'eutanasia. E pure i dubbi sulla corretta interpretazione e
applicazione della sentenza 242/2019 della Corte costituzionale.
Ma di fronte al mistero della morte ora è meglio il silenzio e
la preghiera. In essi viene da domandarci se come società e come
comunità cristiana stiamo facendo abbastanza - conclude - per
accompagnare i malati gravi o se li induciamo a sentirsi un
peso, uno scarto, un costo economico".
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