(di Francesco De Filippo)
Nonostante l'allegra confusione
delle nostre vite frenetiche e le angosce del vorticare di
tragedie inattese come la pandemia e la guerra in Ucraina,
l'assenza di una voce come quella di Andrea Camilleri si sente.
Non una voce qualunque, la sua: roca, ma soprattutto paterna e
autorevole. Un grande vecchio, un Maestro, morto tre anni fa
dopo un breve periodo di agonia in un letto dell' ospedale Santo
Spirito attorniato dall'affetto dei parenti, degli amici, e di
tantissimi sconosciuti.
Uno scrittore che aveva scelto la bonaria determinazione di
un incallito scapolone come Salvo Montalbano per esprimere il
proprio pensiero rivolgendosi a tutti, e opere mai complesse ma
molto pregnanti e significative per chi invece desiderava
spingersi oltre. Comunque, in entrambi i casi, che si trattasse
di cultura "alta" o cultura "bassa" - distinzione che non amava
e non riteneva fondata - una voce indipendente. Libera, mai
organica. Commuoveva - e si commuoveva lui stesso - l'aneddoto
che raccontava di due contadini che parlavano di arte davanti al
Duomo di Orvieto a testimonianza che non bisogna essere critici
per capire, percepire la bellezza.
Uomo di cultura enciclopedica, regista televisivo e teatrale
(indimenticabili alcune sue mise en scène di Pirandello), poeta,
ha lasciato un vuoto non fosse altro che per l'impegno sociale.
Un atteggiamento che oggi ha quasi un sapore stantìo, quel
veterocomunismo figlio di chi ha vissuto lo strazio della
seconda guerra mondiale e la spaccatura tra capitalismo e
socialismo che ne era conseguita, con altrettanti drammi e
lacerazioni.
Uno scrittore, un poeta, un saggista non si misura dal numero
di copie vendute né dal numero di pagine scritte - libelli erti
mezzo polpastrello sono stati più incisivi di opere che superano
le mille pagine - ma (anche) dalla profondità cui si spinge nel
cuore delle persone e nell'influenza del pensiero collettivo.
Andrea Camilleri ha saputo entrare con gentilezza nelle case di
tante famiglie, sedersi su una poltrona riservata alla comodità
e intrattenersi affabilmente a parlare del più e del meno.
Sono già tre anni che non c'è più, che la sua voce è affidata
al ricordo. La pubblicazione dello sbandierato "Riccardino" che
da decenni si sapeva aveva scritto per una uscita postuma e
l'acuta "Autodifesa di Caino", oltre a varie ripubblicazioni non
lo restituiscono al nostro desiderio di orientamento, di una
guida imparziale. Almeno, l'istituzione di un Fondo a lui
dedicato e destinato ai posteri, ne proietta la figura nel
futuro, qualora qualcuno lo dimenticasse. Ci manchi, Maestro.
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