Senza un cambio di rotta nelle politiche per il clima, oltre un quinto dell'umanità sarà esposto a un caldo potenzialmente pericoloso entro la fine del secolo: con un aumento di temperatura di 2,7 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, infatti, ben due miliardi di persone saranno costrette a vivere fuori dalla 'nicchia climatica' in cui la specie umana ha prosperato per millenni. Lo indica lo studio pubblicato sulla rivista Nature Sustainability dal gruppo internazionale di esperti guidato dall'Università di Exeter nel Regno Unito e dall'Università di Nanchino in Cina.
Ad oggi 60 milioni di persone nel mondo sono già esposte a un caldo pericoloso, con temperature medie di 29 gradi o più. Secondo i calcoli dei ricercatori, la situazione potrebbe subire un'accelerazione qualora la temperatura media globale aumentasse di 1,2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali: per ogni 0,1 gradi di ulteriore aumento, circa 140 milioni di persone saranno costrette a vivere in condizioni precarie per il caldo eccessivo.
Considerando che la popolazione mondiale potrebbe raggiungere i 9,5 miliardi di individui entro fine secolo, l'India sarebbe il Paese con il maggior numero di persone esposte (oltre 600 milioni), seguita dalla Nigeria (oltre 300 milioni di persone). In Paesi come il Burkina Faso e il Mali, quasi il 100% del territorio potrebbe diventare pericolosamente caldo per le persone. Il Paese con la maggiore estensione di territorio esposta alla minaccia del caldo sarebbe il Brasile, mentre un aumento vertiginoso delle aree colpite si registrerebbe in Australia e India.
Al contrario, se si riuscisse a contenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi, solo il 5% della popolazione mondiale rimarrebbe esposta alla minaccia del caldo, salvando così un sesto dell'umanità.
"I costi del riscaldamento globale sono spesso espressi in termini finanziari, ma il nostro studio evidenzia l’eccezionale costo umano del fallimento nell'affrontare l'emergenza climatica", commenta Tim Lenton, direttore del Global Systems Institute dell'Università di Exeter.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA