È caccia aperta al misterioso anello di congiunzione mancante dei buchi neri: quello che dovrebbe occupare un posto intermedio tra i più piccoli, formati dal collasso di una stella, ed i giganti supermassicci che popolano i centri delle galassie. Un passo avanti nella risoluzione del mistero lo ha fatto uno studio internazionale guidato da Manuel Arca Sedda del Gran Sasso Science Institute, al quale ha partecipato anche l’Università di Padova, che è stato pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. La ricerca getta nuova luce sui meccanismi che potrebbero portare alla formazione di questi elusivi buchi neri, per i quali manca ancora una prova della loro esistenza, e indica in quali angoli di universo andare alla ricerca di una risposta.
Sebbene abbiano tutti una densità talmente elevata che nemmeno la luce può sfuggire alla loro attrazione gravitazionale, i buchi neri non sono tutti uguali: i più piccoli si formano quando una stella di massa sufficientemente grande, almeno venti volte più del Sole, esaurisce il suo combustibile e collassa su sé stessa, mentre all’estremo opposto ci sono gli immensi buchi neri supermassicci, di masse milioni o miliardi di volte maggiori rispetto alla nostra stella. La formazione di questi ultimi rappresenta ancora un enigma, soprattutto a causa del ‘vuoto’ lasciato appunto dai buchi neri intermedi.
I ricercatori guidati da Arca Sedda hanno quindi deciso di colmare questo vuoto. “Abbiamo svolto dei nuovi modelli al computer in grado di simulare la formazione di questi misteriosi oggetti, e abbiamo trovato che possono formarsi grazie a una combinazione di tre fattori”, spiega il ricercatore del Gssi: “Fusioni tra stelle molto più grandi del nostro sole, l’accrescimento di materiale su buchi neri stellari e, infine, la fusione tra buchi neri stellari”. Secondo gli autori dello studio, dopo la nascita i buchi neri intermedi vengono lanciati via dai loro stessi ammassi e questo ne impedirebbe l’ulteriore crescita.
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