Il telescopio James Webb ha trovato i primi indizi che potrebbero provare l'esistenza di mostruose stelle fino a 10.000 volte più massicce del Sole all'alba dell'Universo, appena 440 milioni di anni dopo il Big Bang: ci è riuscito puntando la sua vista a infrarossi su una delle galassie più distanti mai osservate, denominata GN-z11 e posta a 13,3 miliardi di anni luce. Lo studio è pubblicato su Astronomy and Astrophysics da un team delle università di Ginevra e Barcellona e dell'Istituto di astrofisica di Parigi.
Già nel 2018 i ricercatori avevano teorizzato l'esistenza di stelle supermassicce per spiegare alcune anomalie osservate negli ammassi globulari, tra i più grandi e antichi agglomerati di stelle dell'Universo che possono contenere fino a un milione di astri. Il modello teorico sosteneva che questi mostri stellari potessero emettere un vento in grado di contaminare la nube di gas che avrebbe poi dato origine all'ammasso, arricchendola di elementi chimici distribuiti in modo eterogeneo. "Oggi, grazie ai dati raccolti dal telescopio James Webb, crediamo di aver trovato un primo indizio della presenza di queste stelle straordinarie", spiega Corinne Charbonnel, astronoma dell'Università di Ginevra e prima autrice dello studio.
Analizzando la luce emessa dalla galassia GN-z11, il telescopio Webb ha scoperto "proporzioni molto elevate di azoto e un'altissima densità di stelle", afferma Daniel Schaerer, astronomo dell'Università di Ginevra e co-autore dello studio. Ciò suggerisce che diversi ammassi globulari si stanno formando in questa galassia e che ospitano ancora una stella supermassiccia attiva. "La forte presenza di azoto può essere spiegata solo con la combustione dell'idrogeno a temperature estremamente elevate, che solo il nucleo delle stelle supermassicce può raggiungere", aggiunge Charbonnel.
Questi nuovi risultati rafforzano il modello proposto dagli astronomi, l'unico attualmente in grado di spiegare le anomalie degli ammassi globulari. Il prossimo passo sarà testarne la validità su altri ammassi globulari che si formano in galassie lontane, usando i dati di James Webb.
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