Su Venere ci sono vulcani attivi: lo indicano alcuni cambiamenti morfologici del rilievo vulcanico più grande del pianeta, il monte Maat, rilevati a otto mesi di distanza nelle immagini radar raccolte quasi 30 anni fa dalla sonda Magellano della Nasa e riesaminate con un laborioso metodo manuale da Robert R. Herrick dell'Università dell'Alaska a Fairbanks e da Scott Hensley del California Institute of Technology. I risultati sono pubblicati sulla rivista Science.
Lo studio si è focalizzato su una regione della superficie di Venere che è stata sorvolata più volte dalla sonda e che comprende due dei più grandi sistemi vulcanici del pianeta: i monti Maat e Ozza. "Per volume, sono comparabili ai più grandi vulcani della Terra, ma hanno pendii più bassi e dunque sono più estesi", spiega Herrick. Nel monte Maat, in particolare, è stata identificata una bocca vulcanica che nel giro di otto mesi (tra febbraio e ottobre 1991) è passata da una forma circolare di circa 2,2 chilometri quadrati a una forma irregolare di circa 4 chilometri quadrati. In questa trasformazione le pareti della bocca vulcanica sono diventate più basse e al loro interno sono state riempite da quello che sembra essere un lago di lava (non si sa se liquida o solidificata). I ricercatori riconoscono che questo fenomeno potrebbe anche essere spiegato da un fenomeno non legato al vulcanismo: le pareti della bocca vulcanica potrebbero infatti essere collassate per effetto di un terremoto. Solitamente, però, questo genere di crolli sulla Terra è sempre accompagnato da eruzioni vulcaniche nelle vicinanze.
“Ora possiamo dire che Venere è vulcanicamente attivo nel senso che ci sono almeno alcune eruzioni all'anno", aggiunge Herrick. "Possiamo aspettarci che le prossime missioni su Venere osserveranno nuovi flussi vulcanici che si sono verificati da quando la missione Magellano è terminata tre decenni fa, e dovremmo vedere alcune attività che si verificheranno proprio mentre le prossime missioni orbitali raccoglieranno immagini".
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