(di Nando Piantadosi)
Accettava anche carte di debito e
del reddito di cittadinanza il clan Picca-Di Martino che vendeva
la sua cocaina al confine tra Napoli e Caserta. L'organizzazione
malavitosa è stata sgominata oggi dai carabinieri e dalla DDA
con 42 misure cautelari: 32 arresti in carcere, 3 ai domiciliari
e 7 divieti di dimora in Campania emessi contestando, a vario
titolo, i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso,
estorsione, intestazione fittizia di beni, riciclaggio,
autoriciclaggio, detenzione di armi, traffico e spaccio di
sostanze stupefacenti.
I militari del nucleo investigativo hanno sequestrato il
dispositivo portatile, a disposizione di uno spacciatore il
quale, con la compagna romena, vendeva cocaina a domicilio
utilizzando una Jeep Renegade e soprattutto la partita Iva di un
negozio di abbigliamento riconducibile all'uomo.
Lo spaccio (che riguarda due distinti gruppi di spacciatori, uno
costituito dal clan Picca-Di Martino, l'altro a quest'ultimo
legato) avveniva anche in presenza dei rispettivi figli minori.
Alla fine risultava che erano stati acquistati indumenti. E a
chi non pagava venivano sequestrati patente e documenti che
tornavano indietro solo dopo il saldo del conto.
A guidare, in modo intercambiabile, il clan erano Aldo Picca, 67
anni, e Nicola Di Martino, 54 anni, suo alter ego. Il primo
(vecchia conoscenza in quanto affiliato alla fazione Bidognetti
del clan dei Casalesi) subito dopo la sua scarcerazione, nel
2023, dopo 19 anni a fronte di una condanna a 61 anni) ha avuto
un solo pensiero in testa: mettere in piedi una nuova
organizzazione malavitosa e assoggettare quel pezzo del
Casertano tra Carinaro e Teverola, al confine con Napoli, nel
quale insiste peraltro un'importante area di sviluppo
industriale.
Il business di Picca e dei suoi affiliati non si basava solo
sulla droga: accanto allo spaccio c'erano le estorsioni che,
come ha spiegato il procuratore di Napoli Nicola Gratteri con il
comandante provinciale Manuel Scarso e ad altri ufficiali, non
risparmiava nessuno, anche perché solo così poteva marcare il
territorio "così come fa il cane con la sua pipì".
La vittime, intimorite e poco collaborative, erano le più
disparate: farmacisti, titolari di pompe funebri, commercianti,
imprenditori e anche semplici cittadini, come il professore
preso di mira per avere preso in affitto un terreno sul quale il
clan intendeva realizzare un inceneritore.
Tra i reati contestati, a vario titolo, dalla DDA (procuratore
aggiunto Michele Del Prete) figura anche il riciclaggio, attuato
dal clan infiltrandosi nel tessuto economico della zona grazie
all'acquisizione di diverse tipologie di esercizi commerciali:
durante la pandemia, grazie a un bar, sono stati ripuliti circa
900mila euro "sporchi".
I carabinieri oltre agli arresti hanno anche notificato un
decreto di sequestro, anche questo emesso dal gip di Napoli
Marco Carbone, riguardante beni immobili (bar, anche con sala
giochi, tavola calda, appartamenti, terreni e box auto).
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