Ha chiesto l'abbreviato "secco"
(che implica il divieto di ulteriori acquisizioni probatorie,
orali o documentali) Salvatore Allard, il 59enne accusato dalla
Procura di Napoli di essere coinvolto nell'omicidio - avvenuto
ben 36 anni fa - del poliziotto Domenico Attianese, ucciso il 4
dicembre 1986 nella gioielleria Romanelli del quartiere Pianura
di Napoli, mentre cercava di sventare una rapina.
La richiesta è stata formulata stamattina al gup Rosamaria De
Lellis nell'aula 412 del nuovo palazzo di giustizia partenopeo,
nel corso dell'udienza preliminare del processo che vede
imputato anche il 60enne Giovanni Rendina. Anche questa volta
Rendina non si è potuto presentare in aula in quanto ancora
ricoverato in ospedale.
A formulare la richiesta al giudice è stato stamattina un
avvocato dello studio Dello Iacono, che difende Allard. Non si
esclude, ora, che anche Rendina - fortunatamente in via di
miglioramento - possa fare la stessa scelta di Allard.
E, a questo punto, non si esclude neppure che già in
occasione della prossima udienza, fissata per il 23 luglio, si
possa già definire almeno la posizione di uno dei due imputati.
Secondo quanto emerso dalle indagini, coordinate dal pm
antimafia Maurizio De Marco, sarebbero stati proprio Giovanni
Rendina e Salvatore Allard (quest'ultimo, nel frattempo,
protagonista di un percorso di riabilitazione conclusosi con
successo) a esplodere il colpo mortale, quel tragico 4 dicembre
del 1986.
I due malviventi, secondo la ricostruzione dei fatti, dopo
avere bloccato i titolari della gioielleria minacciandoli con le
armi, stavano saccheggiando il negozio quando sopraggiunse
l'agente il quale, durante la colluttazione con i banditi, venne
ferito a morte alla testa da un colpo di pistola.
Ad accorgersi della rapina e ad avvertire Attianese fu sua
figlia, all'epoca 14enne: la famiglia del poliziotto, infatti,
abitava a poca distanza dalla gioielleria presa di mira dai
malviventi.
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