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La parola della settimana: 'Estinzione' (di Massimo Sebastiani)

La parola della settimana: 'Estinzione' (di Massimo Sebastiani)

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03 giugno 2022, 09:47

Redazione ANSA

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Parola della settimana - RIPRODUZIONE RISERVATA

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Estinzione: l’ultimo a cui è stato attribuito l’uso di questa parola, in riferimento alla popolazione italiana, è nientemeno che Elon Musk, l’imprenditore sudafricano naturalizzato statunitense, cofondatore di PayPal, ideatore di Tesla, SpaceX e di parecchie altre cose, al cui nome è impossibile non unire, nel linguaggio giornalistico e non solo, l’aggettivo ‘visionario’. In realtà, quello che secondo le statistiche ufficiali è l’uomo più ricco del mondo, non ha pronunciato esattamente quel termine ma stavolta la traduzione non è frutto di leggerezza o sciatteria. Nel tweet che ha fatto rumore, almeno da noi, Musk scrive: “L’Italia non avrà più popolazione se queste tendenze continueranno”. Musk, che è anche aspirante acquirente di Twitter per la cifra di 44 miliardi di dollari, partecipava così ad un lunghissimo thread, cioè una discussione su un social, innescato da lui stesso sul tema della bassa natalità e delle sue conseguenze (un tema su cui torna spesso) cui aveva risposto fra gli altri l’italiano Andrea Stroppa mostrando appunto un grafico sulla curva discendente della natalità in Italia.

Ma cosa c’è dentro e dietro la parola e l’idea di estinzione da affascinare tanto Musk e altri e non da oggi? La parola ha un’origine interessante: deriva da extinctus, participio di extinguere, dove ex rafforza e stinguere significa pungere, premere sopra con una punta, soffocare, smorzare. Dunque spegnere una cosa accesa, far morire come anche nel tedesco ersticken, soffocare.

La capacità di attrazione dell’idea di estinzione, di alcune specie sulla Terra o anche della specie umana o di tutte contemporaneamente e quindi della fine del mondo, non è ovviamente nuova. La differenza sostanziale è che, come spiegò l’astrofisico Brandon Carter nel 1983, definendo il cosiddetto Doomsday argument, cioè l’argomentazione del giorno del giudizio, per i millenaristi del primo cristianesimo e del Medioevo l’apocalisse è una questione al confine tra mistica e morale mentre ora le previsioni sulle estinzioni di una o più specie si basano sui numeri. Il Doomsday argument è all’incrocio tra teoria della probabilità, psicologia della percezione del rischio ed etica applicata al problema della sopravvivenza della nostra specie (crisi ambientale, riscaldamento globale ecc).

E’ tornato sul tema 13 anni dopo, nel 1996, il filosofo John Leslie, spiegando perché, secondo lui, l’estinzione della nostra specie sia più vicina di quanto crediamo. Leslie in sostanza passa in rassegna i molti disastri che gli scienziati hanno previsto e ipotizzato, dalle malattie mortali agli esperimenti di fisica ad alta energia, puntando il dito soprattutto sull’ignoranza e l’arroganza della specie umana, relativamente giovane e quindi ignara per la maggior parte di quello che può combinare.

D’altra parte da alcuni anni si parla con insistenza (e un certo successo) di sesta estinzione: l’espressione è anche il titolo del libro con cui Elizabeth Kolbert ha vinto nel 2015 il premio Pulitzer, in cui si ipotizza che dopo le big five, le cinque estinzioni di massa precedenti nell’arco di 540 milioni di anni (l’ultima delle quali è quella che ha riguardato i dinosauri ma anche altre specie vegetali, batteri, pesci), si sia entrati nella sesta: quella per cui, secondo i sostenitori di questa tesi, entro pochi decenni circa il 75% delle specie viventi scomparirà dalla Terra. Non sta succedendo per la prima volta, come abbiamo visto, ma stavolta diversamente dalle altre all’origine di tutto ci sarebbero gli umani. Inquinamento, deforestazione, riscaldamento globale. E c’è anche chi, all’Mit di Boston, si è preso la briga di comparare, come ha scritto Edoardo Vitale qualche anno fa su Wired, il ciclo del carbonio nei periodi in cui sono avvenute le altre estinzioni di massa con la situazione attuale: ebbene già da qualche anno sarebbe in atto un aumento dei valori tale da innescare il processo di estinzione, che entro il 2100 raggiungerà il suo apice e impiegherà circa diecimila anni a trovare un nuovo equilibrio.

Siamo ad un passo dall’apocalisse? Non secondo Chris Thomas, biologo evoluzionista che nel suo ‘Il mondo di domani. La natura nell’età dell’estinzione’, dopo aver constatato che abbiamo convertito un terzo della vegetazione alla produzione di cibo, alterato i cicli chimici della Terra, acidificato gli oceani, scrive così: ‘Siamo ancora circondati da un gran numero di specie, molte delle quali sembrano trarre beneficio dalla nostra presenza. Se in questo mondo alterato dall’uomo molte specie sono in declino mentre altre stanno prosperando, la prognosi è davvero così cattiva?’. Insomma, estinzione sembra una delle tante parole da maneggiare con cura.

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