E' un "serio attacco al giornalismo d'inchiesta" e rischia di avere anche conseguenze negative sui processi, limitando nei fatti la possibilità di acquisire prove, la norma approvata dalla Commissione Giustizia della Camera sulle immagini e sugli audio "rubati". Il giudizio severo sull'emendamento al ddl del governo sul processo penale, presentato nella delicata materia delle intercettazioni dal deputato Alessandro Pagano, è del procuratore di Torino Armando Spataro, che condivide l'allarme del presidente dell'Anm, Rodolfo Sabelli, anche su un'altra modifica introdotta dalla Commissione Giustizia al provvedimento: quella che dà solo tre mesi di tempo al pm per decidere, alla fine delle indagini preliminari, se chiedere il rinvio a giudizio o l'archiviazione.
Una norma "ancora più pericolosa" per il sistema processuale penale", dice Spataro, facendosi portavoce di un timore condiviso dai colleghi che come lui sono alla guida di procure importanti e con i quali ha avuto modo di confrontarsi. La polemica di questi giorni è incentrata però soprattutto sull'emendamento Pagano, che il capo dei pm di Torino contesta non solo per i suoi contenuti, ma anche per la mancanza di "una seria e adeguata riflessione", visto che "già adesso è possibile punire chi diffama e chi interferisce nella vita altrui". Ma sono soprattutto le conseguenze negative della norma a preoccupare. La prima è che si "limita la possibilità di acquisire prove, spesso importanti, nei processi penali. Perché nonostante sia prevista l'esclusione della punibilità quando le riprese (ma non le "registrazioni"!) costituiscano prova nell'ambito di un procedimento dinanzi all'Autorità Giudiziaria, l'effetto dissuasivo della norma sarebbe comunque evidente".
"Ancora più grave" però l'attacco al "diritto-dovere di informazione della stampa che in democrazia va difeso con forza". "Il legislatore - dice Spataro - deve convincersi che non gli spetta né valutare la rilevanza di una conversazione in un processo penale (che compete ai giudici), né la rilevanza pubblica della notizia. E' naturalmente vero che sia a magistrati che a giornalisti si deve chiedere professionalità ed attenzione perché i primi sappiano ben maneggiare uno strumento certamente invasivo rispetto alla privacy delle persone, e perché i secondi evitino di giustificare il ricorso al puro gossip con il diritto di cronaca. Ma in caso di criticità, la legge prevede già gli strumenti per farvi fronte, in particolare quelli disciplinari per i giornalisti. Discutiamo, allora - prosegue Spataro - dei limiti e dell'estensione della fase di segretezza delle conversazioni registrate ma evitiamo salti avventurosi nel buio sventolando la minaccia del carcere, proprio nel momento in cui si discute la necessità, persino in modo troppo ampio, di limitare la reclusione" .
Il maggiore allarme dei procuratori è però per la norma che dà un tetto di tre mesi al pm per trarre le sue conclusioni su un'inchiesta. "Sembra che il legislatore non si renda conto di quale è la realtà in cui operano le procure e di quali siano le modalità investigative in molti processi, non solo in quelli di una certa gravità. Un conto, infatti, è prevedere giustamente termini delle indagini preliminari, scaduti i quali non possono essere acquisiti ulteriori elementi di prova, altro è ignorare che, scaduti tali termini, la polizia giudiziaria deve spesso redigere informative complesse ed i pubblici ministeri - che operano in una situazione strutturale a dir poco emergenziale - devono trarre dagli atti precise e ragionate conclusioni.
Prevedere che, dopo tre mesi dalla fine delle indagini, i procuratori generali avvisati di ciò siano obbligati ad avocare le indagini stesse costituisce inoltre uno strappo al sistema che limita le competenze delle procure generali a casi di motivata criticità. Ben possono esservi ritardi ingiustificati nelle conclusioni dei pm, che non a caso sono in questi casi soggetti a responsabilità disciplinare. Ma trasformare le possibili patologie in ragioni di cambiamenti così profondi e pericolosi per la delicatezza delle indagini significa - avverte Spataro - dar spazio a prassi burocratiche e amputare il corretto esercizio del principio di obbligatorietà dell'azione penale".
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