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La libertà religiosa, secondo la Chiesa

La libertà religiosa, secondo la Chiesa

Da 'Dignitatis humanae' a lettera Wojtyla, a discorso Ratzinger

ROMA, 25 maggio 2014, 08:56

Enzo Quaratino

ANSACheck

Francesco in Giordania © ANSA/EPA

Francesco in Giordania © ANSA/EPA
Francesco in Giordania © ANSA/EPA

   La libertà religiosa, più volte richiamata da Papa Francesco nella prima giornata del suo viaggio apostolico in Terra Santa con l'auspicio che venga tenuta in grande considerazione in ogni parte del Medio Oriente e del mondo, nasce storicamente come rivendicazione, da parte dei credenti, del diritto di poter professare liberamente la propria fede religiosa, in maniera individuale o associata, con esclusione di qualsiasi impedimento proveniente dall'esterno, sia da parte della pubblica autorità, sia da parte di privati, individui o gruppi.
   

  Mentre in Italia la libertà religiosa è espressa "in senso positivo" - quale diritto costituzionale "individuale e collettivo di professare la propria fede religiosa, di farne propaganda e di esercitarne il culto pubblico", con l'unico limite dei riti contrari al buon costume - dal Concilio Vaticano secondo essa è formulata con un'affermazione espressa "in negativo", quale "diritto di ogni uomo di essere immune da coercizioni esterne in materia religiosa".

    La dichiarazione conciliare Dignitatis humanae - spiega il rettore della Libera Università Maria Santissima Assunta (Lumsa), Giuseppe Dalla Torre, nel suo volume 'La città sul monte' - concepisce in modo ampio i contenuti della libertà religiosa. Essa è in primis diritto dell'individuo di agire secondo la propria coscienza, di professare la propria fede religiosa, di esercitare in privato e in pubblico il culto. E' poi libertà della comunità religiosa di reggersi secondo norme proprie, di organizzare la propria vita interna, di costruire edifici religiosi, di testimoniare ed insegnare pubblicamente la propria fede.
    Fra i documenti del magistero pontificio post-conciliare che trattano delle libertà religiosa, è di rilievo la Lettera ai Capi di Stato sulla libertà religiosa e sul documento finale di Helsinki, del 1/o settembre 1980, nella quale Giovanni Paolo II ribadisce la dottrina del Concilio Vaticano II, facendo tuttavia una puntigliosa ricognizione ed elencazione dei contenuti della libertà religiosa, sia intesa come diritto del singolo, sia come diritto della collettività.
    Così è precisato che sul piano personale libertà religiosa significa libertà di educazione religiosa dei figli e conseguente libertà delle famiglie di scegliere le istituzioni scolastiche più confacenti; libertà delle persone di beneficiare dell'assistenza religiosa ovunque esse si trovino, specialmente nelle pubbliche istituzioni (cliniche, ospedali, caserme, carceri); libertà di non essere costretti sul piano personale, civile o sociale, a compiere atti contrari alla propria fede; libertà di non subire, per ragioni di religione, limitazioni e discriminazioni nelle diverse manifestazioni della vita(studio, lavoro, professioni, responsabilità civiche.
    Sul piano comunitario, libertà religiosa è la libertà che ad ogni comunità religiosa deve essere assicurata di scegliere liberamente i propri ministri, di avere istituti di formazione religiosa, di pubblicare libri religiosi, di comunicare ed insegnare la fede con ogni mezzo, anche fuori dei luoghi di culto, di svolgere attività di educazione, di beneficenza, di assistenza.
    Il documento di Giovanni Paolo II - con il quale si è espresso in linea anche Benedetto XVI nei suoi interventi sul tema, ed in particolare - indica, in definitiva, gli sviluppi dell'insegnamento della Chiesa sulla libertà religiosa dopo la dichiarazione conciliare Dignitatis humanae. In essa - spiega ancora il rettore Dalla Torre nel suo volume - la libertà religiosa era trattata partendo da una definizione in negativo: quella di non subire coercizioni esterne (immunità) in materia religiosa. Successivamente la questione della libertà religiosa viene collocata sempre più in un contesto positivo, relativamente cioé alle responsabilità che sulle autorità civili incombono per i bene comune; in particolare alle responsabilità che le autorità hanno nel rimuovere tutti gli ostacoli - di ordine giuridico, economico, sociale - che impediscono il pieno sviluppo della vita religiosa, a livello individuale come a livello collettivo. Sulla dimensione pubblica della fede si è più volte pronunciato anche Benedetto XVI, in particolare in un celebre discorso al Quirinale il 4 ottobre 2008: "Il diritto alla libertà religiosa - disse - va considerato in tutta la sua ampiezza" e deve essere tenuta "nella giusta considerazione la dimensione pubblica della religione e quindi la possibilità dei credenti di fare la loro parte nella costruzione dell'ordine sociale".

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