(di Mattia Bernardo Bagnoli)
La realtà di oggi è la guerra, e
le contorsioni dell'Ue su come 'gestire' l'offensiva israeliana
a Gaza con le tremende conseguenza dal punto di vista
umanitario. Ma c'è anche un domani. Il dopo conflitto. E la
battaglia - non meno importante - per costruire la pace. Ecco, i
27 devono stabilire subito un vademecum comune se vogliono
incidere ed evitare di mostrarsi al mondo divisi e dunque
vulnerabili. L'alto rappresentate Josep Borrell ha allora
presentato uno schema in sei punti al Consiglio Affari Esteri,
incassando l'ok a precedere. E ora partirà per una delicata
missione nell'area, toccando sette Paesi, incluso Israele.
Lo schema Borrell - simile al piano von der Leyen, enunciato
la settimana scorsa durante l'incontro con gli ambasciatori Ue -
prevede "tre sì e tre no", ovvero principi generali (in parte
già visti e sentiti) da mettere in pratica per costruire una
soluzione politica al conflitto israelo-palestinese. La novità
sta nel fatto che Borrell ha però l'endorsement dei 27 e ora
potrà "iniziare a lavorare con gli Usa e i Paesi arabi" per
metterla in pratica. "No all'espulsione dei palestinesi di Gaza
in altri Paesi, no alla riduzione del territorio di Gaza, no
alla rioccupazione d'Israele e al ritorno di Hamas", ha detto
Borrell parlando dei tre no. Per i sì, invece: "A Gaza servirà
un'autorità palestinese, non necessariamente 'la' autorità
palestinese, la cui legittimità deve essere definita dal
Consiglio di sicurezza dell'Onu; un forte coinvolgimento dei
Paesi arabi alla soluzione politica e infine una maggior impegno
dell'Ue nella regione e in particolare nella costruzione dello
Stato palestinese".
Borrell mercoledì decollerà quindi alla volta "d'Israele,
Palestina, Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania" per
discutere di "assistenza umanitaria", ovvero di consegna degli
aiuti, e di "questioni politiche con i leader regionali". L'ora
e il poi di cui sopra. Nel mentre le capitali europee non stanno
con le mani in mano. Un documento italo-franco-tedesco ha posto
all'attenzione degli altri partner la necessità di isolare
Hamas. "Dobbiamo impedirgli di nuocere, ridurre i suoi
finanziamenti ed evitare che ci sia un'impennata di
antisemitismo in Europa e nel mondo", ha detto il ministro degli
Esteri italiano Antonio Tajani. Il documento parla
esplicitamente di sanzioni al gruppo - già definito terrorista
dall'Ue - sulla base di regimi esistenti oppure ex novo. Procede
poi il cammino di fattibilità della proposta cipriota - la
creazione di un ponte umanitario via mare, con il quartier
generale sull'isola - legata ora a questioni tecniche, ovvero
come creare un "pontile galleggiante" per consegnare gli aiuti a
Gaza. Poi si approccerà Tel Aviv.
È una partita difficile anche perché i Paesi arabi - ricorda
Borrell - del 'day after' al momento non vogliono sentir parlare
e si concentrano sul qui e ora. "La priorità ora è di mettere
fine alla guerra e di consentire l'ingresso nella Striscia di
aiuti sufficienti", dichiara il re di Giordania Abdallah.
Benjamin Netanyahu poi continua a sostenere di voler occupare
Gaza e rifiuta ogni ipotesi di peacekeeping.
In tutto questo la guerra in Ucraina non desta meno
preoccupazione. Anzi. La Lituania lancia l'allarme perché, visti
i recenti patemi d'animo in Usa e Ue, Vladimir Putin vede la
possibilità di rispolverare i discorsi di vittoria. "Una tregua
significherebbe il successo di Mosca", avverte il ministro degli
Esteri Gabrielius Landsbergis. Budapest continua a opporsi
all'erogazione dell'ottava tranche di aiuti militari a Kiev, il
12esimo pacchetto sanzioni alla Russia tarda ad arrivare -
potrebbe essere presentato mercoledì ma poi servirà l'unanimità
per approvarlo - e i vari piani di sostegno (militare e
finanziario) non decollano. L'Ue si ribadisce al fianco
dell'Ucraina. Lo slancio degli inizi, però, inizia ad
affievolirsi.
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