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Donne e bimbi in fuga, 'impossibile restare'

Donne e bimbi in fuga, 'impossibile restare'

A Medyka sul confine tra Ucraina e Polonia. Ma c'anche chi torna

MEDYKA, 02 marzo 2022, 20:04

dell'inviato Matteo Guidelli

ANSACheck

Al confine Ucraina-Polonia tra i bambini e le donne in fuga - RIPRODUZIONE RISERVATA

Al confine Ucraina-Polonia tra i bambini e le donne in fuga - RIPRODUZIONE RISERVATA
Al confine Ucraina-Polonia tra i bambini e le donne in fuga - RIPRODUZIONE RISERVATA

 Guerra in polacco si dice wojna. Appena entri a Medika e chiedi alla gente come si arriva al confine con l'Ucraina, prima ti guardano curiosi e poi ti dicono quella parola lì: c'è wojna, dall'altra parte. Medyka è un paesino nel niente: campi, campi e ancora campi, per chilometri; grigio il cielo e scura la terra, case di contadini e trattori.
    Sarebbe rimasto così, se non fosse che qui arriva chi da wojna fugge via.

Ascolta "Donne e bimbi al confine ucraino: "Restare è impossibile" (di Matteo Guidelli)" su Spreaker.
   

I varchi di frontiera sono quattro: due per le auto, uno per i camion e uno per gli autobus. Dal lato polacco passano sostanzialmente solo questi ultimi: fanno la spola con i paesi vicini al confine e portano via la gente. Dall'altra parte, invece, è diverso. Macchine e bus sono incolonnati e fermi. Così si va a piedi. E la cosa che colpisce subito è che non ci sono uomini; non ce n'è traccia. Solo donne e bambini. Tanti bambini. Camminano infagottati trascinandosi valige, i grandi, orsacchiotti e zainetti i piccoli. Kristin e Victoria sono due sorelle di 17 e 14 anni, vengono da Khmelnytski, a metà strada tra Leopoli e Kiev. "Mio padre - dice la più grande - non può passare, deve combattere". Nient'altro. Come siete arrivate? "Siamo in viaggio da due giorni, prima il treno fino a Leopoli e poi l'autobus. Gli ultimi chilometri li abbiamo fatti a piedi, come tutti". E ora? "E ora prenderemo un altro autobus, da qualche parte andremo ma lontano da qui. Dei quasi 840mila profughi scappati finora, più della metà sono passati per la Polonia: 450mila, secondo il viceministro polacco dell'interno Pawel Szefernaker. E in migliaia sono ancora in fila dall'altra parte del confine: il suo omologo ucraino, Mary Akopyan stamattina parlava di 8mila auto in coda ai varchi. Meno dei giorni precedenti, ma pur sempre una fuga continua. Che potrebbe diventare un esodo, se la diplomazia non riuscirà a fermare le bombe.
    La macchina della solidarietà polacca funziona. Ed è già una notizia visto che non era andata certo così quando si è trattato di accogliere altri profughi, quelli che scappano da guerre iniziate vent'anni fa e mai finite, che Lukashenko ha ammassato al confine tra Bielorussia e Polonia usandoli come arma per ricattare l'Europa. E che non tutti i profughi siano uguali lo dimostra il fatto che la zona off limits di 3 chilometri al confine con la Bielorussia è ancora lì. E lo confermano le parole di Dominika, 35enne di Katovice, arrivata "per dare una mano". "A me quel che è accaduto lì non è piaciuto, ma è la politica che ha deciso tutto. Questa volta è diverso, gli ucraini sono i nostri vicini, siamo fratelli".
    Ed infatti a Medyka è diverso: ci sono le ong, come la Gem che accoglie i profughi sotto la scritta "dedicati a restituire speranza e opportunità". E ci sono i volontari civili, liberi cittadini arrivati da mezza Polonia e dal resto d'Europa che sono lì a fare qualcosa. Arty Locatelli, padre originario di Castelvecchio in Liguria e poi emigrato in Belgio, fa parte del collettivo musicale tedesco Dies'as Kollektiv: è sul ciglio della strada con un cartello con il quale offre, ovviamente gratis, un passaggio fino a Berlino. Stesse scene alla stazione di Przemysl, la cittadina a 10 chilometri dal confine che è diventato il centro di smistamento dei profughi. Dopo due giorni di pienone, oggi ci sono più volontari che ucraini: ma l'edificio è stracolmo di vestiti, pannolini, latte in polvere.
    Se non hai più una scheda telefonica, te ne danno una gratis. Nel parcheggio del Timantii Shopping center hanno tirato su un suk: abiti, scarpe, passeggini, giocattoli. Chi arriva, prova e se va bene prende. Fine.
    Ma nessuno sorride. Passato il confine, cala la tensione, certo. Ma resta la guerra negli occhi. La paura, anche. E la vedi. Zoya ha 20 anni, sogna di fare l'attrice. E' scappata da Kiev con la mamma Lilit e il fratello Benjamin. Parla con lo sguardo che ti attraversa. "Tre giorni fa sono cominciate a cadere le bombe, non potevamo dormire più, non potevamo uscire.
    Se andavi a comprare il pane, potevi comprare solo un pezzo. Una persona, un pezzo. E poi i rumori, erano continui: le bombe, le sirene degli allarmi, quelli delle ambulanze. Ci abbiamo messo tre giorni per arrivare qui, prima in treno, in 150 in un vagone da dieci, poi in autobus. Ora sono stanca e ho paura". Inutile chiedergli che fine ha fatto il padre. Anzi no, non è inutile.
    "Quando ci ha accompagnati, la polizia ci ha detto di sbrigarci a salire sul treno e così non sono riuscita a dirgli nulla. Solo ciao".
    Alla stazione di Przemysl, Mykola si calca ancora di più il berretto in testa. Ha 25 anni e lui fa il viaggio inverso, va a Kiev. Perché c'è anche chi ha deciso di tornare indietro dall'estero e andare a combattere. "Ho paura? Tutti hanno paura, è normale, è una guerra. E' una decisione complicata, ma so che posso fare qualcosa e allora torno, entrerò a far parte della difesa territoriale". Perché lo fai? "Kiev è casa mia e poi - sorride amaro - questa follia qualcuno dovrà pur fermarla". Già, qualcuno dovrà pur tentare, nell'Europa dove sono nati diritto e democrazia. 
   

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