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Reddito: Durigon, basterà rifiuto di lavoro per cancellarlo

Reddito: Durigon, basterà rifiuto di lavoro per cancellarlo

Il sottosegretario, rinnovabile per periodi sempre più brevi

ROMA, 07 novembre 2022, 18:52

Redazione ANSA

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. - RIPRODUZIONE RISERVATA

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Il Reddito di cittadinanza non sarà a vita ma sarà rinnovabile per periodi sempre più brevi e con un assegno a scalare. Inoltre chi rifiuterà anche una sola offerta di lavoro perderà il sussidio. Lo spiega il Corriere della Sera in un articolo che riporta le parole del sottosegretario al Lavoro, il leghista Claudio Durigon.

La proposta della Lega, secondo il sottosegretario, "è più morbida di altre che circolano nella coalizione, ma si muove nello stesso solco" e il punto di partenza è che "il sussidio non può essere a vita. Va fissato un termine oltre il quale non si può andare, un po' come con la Naspi", l'indennità di disoccupazione. Un percorso "ragionevole", secondo Durigon, "prevede, dopo i primi 18 mesi di Reddito, che si possa andare avanti al massimo per altri due anni e mezzo, ma con un décalage". In sostanza dopo i primi 18 mesi, se la persona non ha trovato un lavoro, viene sospesa dal sussidio e inserita per sei mesi in un percorso di politiche attive del lavoro. Se dopo 6 mesi la persona è ancora senza lavoro, potrebbe ottenere di nuovo il Rdc, "ma con un importo tagliato del 25% e una durata ridotta a 12 mesi", durante i quali continuerebbe a fare formazione. Se anche dopo questo periodo il beneficiario non è entrato nel mercato del lavoro, verrà sospeso per altri sei mesi, passati i quali potrà chiedere per l'ultima volta il Rdc, questa volta "solo per sei mesi e per un importo decurtato di un altro 25%. Prenderà cioè la metà di quanto prendeva all'inizio".

La riforma prevederà poi che si decade dal diritto al reddito anche rifiutando una sola offerta congrua di lavoro, oggi sono due. Da questa stretta verrebbe colpito "un percettore su tre del Rdc", dice Durigon. Infine, c'è il versante dei controlli.   "Pensiamo - dice il sottosegretario - che il sistema non debba più essere gestito centralmente dall'Inps ma sul territorio dai Comuni, che conoscono meglio le reali situazioni di povertà».

 




   

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