(di Paolo Petroni)
DON DELILLO, ''IL SILENZIO''
(EINAUDI, pp. 110 - 14,00 euro - Traduzione di Federica Aceto).
Don Delillo è un maestro, uno dei più interessanti autori
americani d'oggi e forse il più inquietante, proprio nel suo
partire da situazioni di normalità e portarle avanti nel
quotidiano facendo emergere via via un senso di minaccia,
un'oppressione inquietante con la sua scrittura precisa e
allusiva assieme, che ingloba la riflessione nel racconto. E'
così anche in questo suo ultimo libro, che per certi versi ci
ricorda il suo ''Cosmopolis'', viaggio in auto all'alba del
nuovo millennio attraverso una metropoli che diventa sempre più
un inferno, giocando sul dentro (l'auto) e il fuori (Manhattan)
come qui abbiamo una casa e la città all'esterno (Max: ''cosa
succede là fuori?'' - Diane: ''Meglio non saperlo'').
E se l'uomo dell'automobile, Eric Paker, moriva fisicamente,
qua i personaggi, a cominciare dal padrone di casa Max Stenner,
è come morissero dentro, si spegnessero riflessi in uno schermo
nero. Siamo infatti nel 2022 (l'apocalisse è dietro l'angolo), e
mentre a casa di Max e Diane si è davanti alla Tv per assistere
al Super Bowl, all'improvviso la tv si oscura e si scopre presto
che anche i telefonini sono morti, che è cessata del tutto ogni
connettività. I due, con un altro ospite, il giovane Martin
Dekker, ex allievo di Diane docente di fisica, stanno aspettando
Jim e Tessa che tornano da Parigi dopo il primo viaggio post
pandemia, ma questi avranno un ritardo, perché anche l'aereo,
senza più collegamenti elettronici, è costretto a un atterraggio
violento di fortuna in cui Jim resta ferito, anche se non
gravemente.
Durante quel volo Tessa aveva guardato la temperatura e
citato Celsius di cui però non ricordava il nome di battesimo:
''Hai guardato sul telefonino?'' le dice il marito, finché a lei
torna in mente, Anders, come venuto ''fuori dal nulla. Non viene
più quasi niente fuori dal nulla. Quando un elemento mancante
viene fuori senza l'ausilio di alcun supporto digitale, ognuno
lo annuncia all'altro con lo sguardo perso in lontananza,
l'aldilà di ciò che si sapeva un tempo e che è andato
smarrito''.
Siamo infatti dei ''tossicodipendenti digitali'', ognuno
chiuso anche per strada nello schermo del suo smartphone, e nel
momento in cui tutto questo viene a mancare, tutto si ferma,
avanza il vuoto come un deserto e il caos coinvolge ogni aspetto
della vita, da quella casalinga al mercato delle criptovalute.
La gente, costretta a andare a piedi, per strada si fa folla,
ondeggia perduta, nascono piccole sommosse, e gli individui, i
cinque personaggi di questi interni quasi teatrali di Delillo,
che via via diventano sempre più monologanti, vivono un profondo
smarrimento reale (''il senso dell'orientamento gravemente
compromesso'') e intimo, mentre il loro io, la loro coscienza e
ragione va in crisi, pensiero e linguaggio si frantumano: Diane
''si chiede come mai si trova qui e non in qualunque altra parte
del mondo, a parlare francese o una sorta di creolo haitiano
smozzicato'', mentre Martin ha una isolata reminiscenza, ''Prima
che il sockson luccasse le dure'', criptica citazione da
''Finnegan Wake''.
''La spinta propulsiva del momento, il flusso del momento. La
gente deve continuare a ripetere a se stessa di essere ancora
viva'' e, se Max finisce per fare una telecronaca inventata
della partita seduto davanti alla tv morta, recitando anche le
interruzioni pubblicitarie, come in una crisi di astinenza e un
rifiuto della realtà, Martin è invece la personalizzazione di un
tentativo, che si avvita sempre più su se stesso, di dare una
qualche spiegazione scientifica al tutto. Dopo aver parlato di
algoritmi e di vaghe colpe cinesi, riflette in particolare sullo
spazio e tempo della teoria di Einstein, col sospetto che quel
che vediamo, che viviamo, non corrisponda del tutto alla realtà
delle cose: ''La faccia che mi guarda allo specchio non sembra
la mia. Ma in fondo perché dovrebbe?'', per concludere ''Il
mondo è tutto, l'individuo niente. L'abbiamo capito tutti,
questo?''. E finisce tra l'altro per citare una massima
attribuita a Einstein, che Delillo mette anche a epigrafe di
questo suo incisivo, inquietante, intenso racconto filosofico:
''Non so con quali armi si combatterà la Terza guerra mondiale,
ma la Quarta si combatterà con pietre e bastoni''.
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