GIULIO CAVALLI, ''CARNAIO''
(FANDANGO, pp. 220 - 17,00 euro). Giulio Cavalli, quarantenne
narratore e autore teatrale, prosegue, scrivendo, quella lotta
alle infiltrazioni nel mondo imprenditoriale e economico
settentrionale della criminalità organizzata che ha portato
avanti anche con la sua attività politica alla Regione
Lombardia, tanto che oggi è costretto a vivere sotto scorta,
dopo le rivelazioni di un pentito. Non può stupire quindi questo
romanzo distopico, per usare un'etichetta oggi molto in voga,
che costruendo una denuncia implicita parte dall'oggi per
narraci un domani che se non vogliamo si avveri in tutte le sue
sfumature noir e ci lasci sorpresi a domandarci come sia
accaduto, dobbiamo cominciare a affrontare da subito.
Il problema è che le migrazioni che qualcuno fa credere di
poter fermare e controllare, sono in realtà in costante aumento
perché l'Europa ricca e con una popolazione dalla natalità in
veloce e forte calo non può non attrarre i milioni e milioni di
esseri umani affannati che vivono in zone povere, martoriate
dallo sfruttamento coloniale e da guerre che sfruttano odi
tribali e religiosi, quindi disposti a tutto pur di scappare e
cercar di arrivare dove la vita appare comunque diversa.
Avendo coscienza di questo si capisce la metafora nera sino
alle estreme conseguenze, metafora certamente paradossale e
disturbante che cerca di smuovere gli animi proprio forse con i
suoi eccessi, che Cavalli costruisce raccontandoci la storia
esemplare di una cittadina marinara, DF, dalla vita tranquilla,
dove un giorno un anziano pescatore trova nella rete il cadavere
di uomo di pelle nera così che al suo ritorno, perché abbia
pietosa sepoltura, finisce in commissariato a far fronte a
procedimenti burocratici. La cosa non fa molto rumore e si sta
spegnendo se non fosse che a quel cadavere ne seguono alcuni
altri, poi se ne trovano molti spiaggiati dietro una duna e
infine, mentre l'allarme si fa generale ma dal governo centrale
minimizzano e non intervengono, come per un terremoto un'ondata
gigantesca ne butta un'infinità per le strade e sopra le case di
DF, facendo ben 14 morti tra gli abitanti. A una prima conta
risultano 24.712 corpi, ma saranno di più, tutti stranamente più
o meno eguali per fattezze, misure, peso, e non si fa a tempo a
ripulire tutto che, mentre arrivano giornalisti e tv da tutto il
mondo, ecco altre ondate come tsunami umani che finiscono per
soffocare DF sotto una montagna di centinaia di migliaia di
cadaveri d'oltremare, con arrivi che alla fine divengono
quotidiani e stabili nella misura media di circa diecimila al
giorno.
Un'emergenza assoluta, ovviamente, e l'amministrazione
locale, viste difficoltà e tempi burocratici e la non
comprensione che trova nei referenti nazionali, con spirito
pragmatico si organizza per resistere, e nel tempo costruisce
una barriera sulla riva del mare, crea un canale che porti i
corpi verso un centro in cui verranno utilizzati e sfruttati in
vari modi per trarne un guadagno, un sostentamento autarchico
che sostituisca la pesca e gli arrivi vacanzieri estivi, per
essere infine liofilizzati. Tutto questo sistema di pura
sopravvivenza richiede che ''quelli'' siano reificati, perdano
ogni caratteristica di umanità, secondo regole molto rigide,
risposte sicure alle accuse che arrivano dai moralisti di ogni
dove, così che in breve a DF si instaura un regime spietato e
dittatoriale, isolato dal resto del paese e che non accetta
debolezze e dissensi persino all'interno delle famiglie e che il
lettore vive come un incubo, avvertendo echi da soluzione finale
nazista, mentre il pensiero va per similitudine alla vita del
manicomio che Saramago descrive nel suo romanzo ''Cecità''.
Tutto è narrato sino al finale mestamente apocalittico con un
realismo grottesco volutamente freddo e assolutamente macabro,
sconcertante nei particolari, con una scrittura che talvolta
eccede ma è forte e efficace, specie quando dalla narrazione in
terza persona passa a quella diretta in prima, ai monologhi dei
vari personaggi-cittadini, ognuno con una propria voce e
teatrale verità nell'esibire durezza o debolezza, fiducia o
disillusione, impegno o voglia di fuga, ma tutte alla fine senza
scampo.
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