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Betta, compositore gentile che guida il Massimo di Palermo

Betta, compositore gentile che guida il Massimo di Palermo

Parla il sovrintendente in vista del debutto "Tristano e Isotta"

PALERMO, 13 maggio 2024, 17:33

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

Domenica 20 maggio debutta al Teatro Massimo di Palermo l'opera più impegnativa di tutta la Stagione 2024, "Tristano e Isotta" di Richard Wagner. Un'opera spartiacque nella storia della musica. Dopo nulla sarà più lo stesso, a partire da quello che è divenuto celebre come l' "Accordo di Tristano". Perché sia così importante lo spiega il maestro Marco Betta soprintendente del Massimo, ma anche un compositore, le cui opere sono eseguite in tutto il mondo. "E' un accordo molto particolare - sottolinea il maestro - indicato come momento della nascita della musica moderna e contemporanea.
    Esprime una tensione indicibile, che esprime l'eternità di un rapporto d'amore destinato a non concludersi mai".
    Marco Betta è un musicista gentiluomo, figura di punta nel panorama lirico italiano. Polso fermo quando occorre, esprime anche una gentilezza sorprendente anche nel modo di governare il teatro e i suoi 400 dipendenti. Si alza alle 5,30 del mattino per comporre e studiare e non togliere spazio alla guida del teatro che è totalizzante. Fu lui che riuscì a riaprire il Massimo con tre opere che fecero la gioia del pubblico: Aida, Rosenkavalier e Tannhauser.
    C'è un particolare legame che lega Wagner all'Italia e a Palermo? "Assolutamente, Venezia, dove morì, ma soprattutto Palermo dove finì il suo Parsifal, in un Harmonium che oggi viene custodito al Teatro Massimo".
    Perché Wagner amava così tanto Bellini? "Per le sue folgoranti melodie, lunghe, lunghissime, quegli incontri tra le parole e il suono. Penso che Wagner amasse di Bellini quello che non trovava nella sua arte, certe soluzioni armoniche per nulla consuete. Spesso capita che i compositori amino ciò che è diverso da loro".
    Wagner ha avuto aiuti economici di molti tipi e poi la protezione del re di Baviera. Lei ha mai trovato il suo Ludwig? "No. Il mondo della musica è cambiato totalmente. Oggi la committenza è data dai teatri, dalle orchestre o dai festival.
    Ma i primi 20 anni del nuovo secolo sono stati un momento molto particolare. La mia generazione è sospesa tra due secoli. Il 900 ci ha lasciato un'eredità straordinaria, piena di stimoli, ma viviamo in un tempo radicalmente diverso dal passato. Ma sono convinto che la coincidenza di tre grandi opere incompiute: Turandot di Puccini, Lulù di Berg e il Moses di Scoemberg siano un segno di riconsiderazione del senso dell'opera lirica".
    Lei ha sempre voluto portare la musica classica dove nessuno l'ha mai sentita e anche quest'anno allo Sperone il Teatro sta per creare un coro cittadino formato da volontari di Sperone- Zen e Danisinni, quartieri avvezzi al degrado. Qual è il reale valore dell'operazione? "I valori sono il rispetto, la disciplina, l'ascolto. Per cantare in coro occorre ascoltarsi gli uni con gli altri. E' anche un veicolo del sentimento di accoglienza. Allora può accadere che la musica possa divenire strumento di salvezza. Se anche uno solo impara a suonare uno strumento o dovesse studiare canto, per me è una vittoria".
   

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