(di Marzia Apice)
FRANCESCA LA MANTIA, LA MIA CORSA. LA
MAFIA NARRATA AI BAMBINI (Gribaudo, pp.64, 12.90 euro. Con le
illustrazioni di MATTEO MANCINI). "Credo nel ricordo e
nell'esempio. Per capire la nostra storia e combattere le mafie
non si può santificare e andare avanti, dobbiamo ricordare chi
ha fatto il proprio dovere: persone in carne e ossa, non eroi":
con questo spirito Francesca La Mantia ha affrontato la sfida di
raccontare la mafia ai bambini nel suo ultimo libro, dal titolo
"La mia corsa", in uscita il 4 marzo con Gribaudo. Adatto a un
pubblico dagli 8 anni in su e arricchito dalle illustrazioni di
Matteo Mancini, il volume viene pubblicato in occasione della
Giornata Nazionale della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle
vittime innocenti delle mafie del 21 marzo: un progetto
importante, che nasce per "far conoscere la storia di chi non si
è voltato mai dall'altra parte", spiega l'autrice intervistata
dall'ANSA, "non volevo parlare di santi né eroi, ma di chi ha
anteposto il bene collettivo a quello individuale". Quella
raccontata da "La mia corsa" è la storia del piccolo Pietro, un
bambino che vive a Palermo, nella zona di Ciaculli. E' il 1983 e
la città è nel pieno della guerra di mafia, con le cosche che si
contendono il potere e organizzano agguati contro magistrati e
forze di polizia. Pietro pensa che la mafia non sia così male e
che i poliziotti diano solo fastidio alla gente, ma presto deve
ricredersi: non solo perché suo padre decide non accettare i
favori di un boss e di restare "libero" pur pagandone le
conseguenze, ma anche perché entra in contatto con gli agenti
della Squadra Mobile di Palermo impegnati ogni giorno nella
lotta ai mafiosi. A fargli cambiare idea, le parole e l'esempio
di due servitori dello Stato eccellenti, il giudice Rocco
Chinnici e il vice questore Ninni Cassarà, che Pietro vedrà
morire tragicamente, uccisi in un attentato mafioso.
"E' facile dire 'siamo contro la mafia'. Ma la mafia non è
un'entità astratta, c'è ovunque, da nord a sud, anche se non è
più costretta a sparare. Quello che è certo è che l'Italia deve
fare ancora i conti con la sua storia, dal Fascismo alle stragi,
dal terrorismo alla trattativa Stato-mafia", dice ancora La
Mantia, palermitana, classe 1985, già autrice del libro per
bambini sugli anni del regime fascista "Una divisa per Nino",
che si definisce "non una scrittrice, ma una cantastorie di
persone normali che però hanno fatto una scelta". "Il covid ha
dimostrato il fallimento di una politica individualista e
neocapitalista - prosegue - Io invece voglio raccontare di una
decina di uomini coraggiosi, tutti giovanissimi, perché il più
grande aveva 36 anni e il più piccolo 21, che a Palermo negli
anni '80 mostrarono la differenza tra bene e male e che non
furono mai collusi con i mafiosi. Quei ragazzi riuscirono a
capire come operava la mafia, cosa la faceva piacere alla gente,
quali appoggi anche politici aveva. Compresero il sistema di
guerra mafiosa, e il loro lavoro fu importantissimo anche per le
indagini di Falcone e Borsellino e per il maxi processo. Furono
i primi con il giudice Chinnici ad andare nelle scuole. Eppure
caddero tutti, uno dopo l'altro, perché furono lasciati soli,
senza essere supportati, e forse anche perché Palermo non li
comprese".
Come si narra oggi la mafia ai bambini? "Con un racconto di
formazione e con il farsi delle domande, e pensando sempre che i
bambini sono il nostro presente, non il futuro", afferma La
Mantia. "Pietro ha una evoluzione graduale. Inizialmente entra
in confusione, non capisce cos'è la mafia, cosa è bene e cosa è
male", spiega, "ma lui va sempre di corsa, e mentre corre si fa
domande a cui cerca risposte: poi tutto si chiarisce quando
perde gli amici. Allora comprende anche cosa sia l'omertà. Ogni
personaggio partecipa alla sua trasformazione. Per il libro ho
incontrato i parenti degli agenti uccisi, ma non volevo
santificarli, solo far capire che quei ragazzi erano persone
normali, con le famiglie, gli amori, le fragilità, che però
hanno scelto con coraggio il bene collettivo".
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