(di Paolo Petroni)
''Il libro che la nostra generazione
voleva fare adesso c'è e il nostro lavoro ha un coronamento'',
scrive Italo Calvino alla pubblicazione di ''Una questione
privata'' di Beppe Fenoglio, di cui ora si celebrano i cento
anni dalla nascita il primo marzo 1922 a Alba. Il romanzo,
storia d'amore, gelosia e amicizia del partigiano Milton durante
la Resistenza, uscì due mesi dopo la morte il 18 febbraio 1963
dell'autore alla viglia di compiere 41 anni, e calvino
aggiungeva: ''Solo ora, grazie a Fenoglio possiamo dire che una
stagione è compiuta, solo ora siamo certi che è esistita'',
intendendo che col lavoro di questo scrittore si conclude una
stagione narrativa in cui sono confluite le ragioni ideologiche,
umane e letterarie di una preciso e significativo periodo
storico.
Proprio in questo, nel suo saper fare di una questione
privata, della tensione etica di un animo solitario e la
necessità di azione che lo lega agli altri, un qualcosa che
acquista valenza generazionale e soprattutto umanamente
generale, sta il valore dell'opera di Fenoglio, con al centro
''Il partigiano Johnny'' e gli altri libri legati alla sua
esperienza di combattente nella lotta di Liberazione.
Più di Meneghello, suo coetaneo di cui pure si è celebrato da
poco il centenario, più di tanti altri libri e memorie su quella
stagione di Resistenza armata, il lavoro di Fenoglio ne è
diventato col tempo il riferimento letterario alto e principale,
col suo senso esistenziale aldilà della lotta e fuor di ogni
retorica come in assenza di adesione al filone principale delle
celebrazioni postbelliche. Si pensi che Fenoglio combatte nelle
file badogliane e che il suo primo libro voleva intitolarlo
''Racconti di guerra civile'', quando questa definizione era
tabù, non ancora sdoganata, nel 1991 e sempre tra le polemiche,
dal saggio dello storico Claudio Pavone. Così, alla uscita del
libro nel 1952 con al centro la liberazione nell'ottobre 1944
dal giogo nazifascista per tre settimane della sua cittadina
natale e il titolo imposto de ''I ventitre giorni della città di
Alba'', tutto ciò gli causò critiche ideologiche impietose e su
''l'Unità'' venne attaccato senza mezzi termini in un corsivo
non firmato: ''Pubblicare e diffondere questo tipo di
letteratura significa non soltanto falsare la realtà, significa
sovvertire i valori umani e distruggere quel senso di dirittura
e onestà morale di cui la tradizione letteraria può farsi
vanto''.
L'attenzione vera e il successo arrivò così solo anni dopo
la sua morte, quando finalmente fu pubblicato, nel 1968, anche
''Il partigiano Johnny'' . Il romanzo, non finito e ricco di
correzioni e varianti e con due finali diversi su cui filologi e
critici hanno lavorato a lungo, riprende la vicenda dei
''Ventitre giorni della città di Alba'' e si può dire prosegua
''Primavera di bellezza'', uscito nel 1959 con la storia del
servizio militare, lo sbandamento dell'otto settembre e l'inizio
della vita partigiana di un giovane studente soprannominato
Johnny per il suo amore per la lingua e la letteratura inglese.
Questi ora, dopo una prima esperienza, aspra e tragica con una
formazione comunista rossa, di cui non condivide l'ideologia,
passerà con gli azzurri badogliani, coi quali vivrà il durissimo
inverno del 1944 nascosto in montagna, sempre in fuga sino ad
arrivare dalle langhe sulle alpi liguri, attendendo la primavera
per riprendere l'azione.
E' questa parte la più bella, sofferta e intensa nell'essere
partecipe della natura, dei boschi, del vento e della neve, in
cui la lotta, che è alla fine quella stessa dell'esistenza,
evidenzia il senso alto e generazionale della crisi esistenziale
di questo giovane in cerca di una propria identità ben oltre una
partecipazione ideologica o etica, tutto narrato tra cronaca e
storia, in un tono quotidiano che trova momenti epici, in un
gioco tra narrazione realistica e uso dell'allegoria, con una
lingua essenziale, ma mai aspra, anzi sempre forte e con un suo
calore e poesia. Al romanzo seguiranno, ritrovati, molti
racconti e uscirà infine un altro romanzo, ''La paga del
sabato'' risalente agli anni '40, più volte rielaborato, sulla
difficoltà di riadattamento alla vita normale dopo la lotta
partigiana. Nel 1978 esce quindi l'edizione critica di tutte le
sue opere, a cura di Maria Corti.
Fenoglio, figlio di un macellaio di Alba, deve alla madre
l'aver continuato gli studi sino a iscriversi nel 1940 alla
facoltà di Lettere all'Università di Torino, che frequentò fino
al 1943, quando fu richiamato alle armi e avviato a un corso di
allievi ufficiali dove lo colse l'8 settembre del 1943. Sin dal
liceo, ottimo alunno e divoratore di libri, si appassionò alla
lingua e alla letteratura inglese, cominciando anche a fare
alcune traduzioni. Gran fumatore ebbe presto gravi problemi
respiratori e di cuore che alla fine gli costarono la vita. Nel
2005 gli venne attribuita Honoris causa post mortem a Torino
quella Laurea in Lettere che non era riuscito a prendere.
Riproduzione riservata © Copyright ANSA