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Venezia: amore di Kusturica e tempi lunghi di Diaz

Venezia: amore di Kusturica e tempi lunghi di Diaz

La nona giornata. In concorso On The Milky Road e The Woman Who Left

VENEZIA, 09 settembre 2016, 19:35

Dell'inviato Francesco Gallo

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Una foto di scena del film 'On the milky road ' di Emil Kusturica - RIPRODUZIONE RISERVATA

Una foto di scena del film  'On the milky road ' di Emil Kusturica - RIPRODUZIONE RISERVATA
Una foto di scena del film 'On the milky road ' di Emil Kusturica - RIPRODUZIONE RISERVATA

I ritmi della musica balcanica e la follia di Emir Kusturica di ON THE MILKY ROAD contro il tempi lunghi (226 minuti) del filippino Lav Diaz di THE WOMAN WHO LEFT. Si chiude così, con questi due film, la 73/ma edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica che finisce domani. Da una parte la storia di un amore, tra lo stesso Kusturica e Monica Bellucci nel caos della guerra, e dall'altra la storia ritmata di una vendetta in bianco e nero (un vero tormentone cromatico di questa edizione del festival).
   

Galline che saltano davanti allo specchio, orologi killer, oche che fanno il bagno nel sangue di un maiale appena sgozzato, serpenti salvifici, l'anarchia creativa del regista serbo classe 1954 sembra inesauribile. Lui nel film è un coraggioso portatore di latte da una parte all'altra del fronte sul suo asino e il falco pellegrino sulla spalla. Quando arriva l'italiana Monica Bellucci tutta la sua vita cambia anche se è felicemente amato da una ragazza del posto (Sloboda Michalovic). La Bellucci in realtà è promessa a un altro, ma l'amore difficile tra i due trionfa nonostante le mille difficoltà. Ovvero inseguimenti, fughe nel pozzo, campi di mine, nascondigli in un gregge di pecore. Il film, basato sul cortometraggio Our Life, scritto a quattro mani dal regista Kusturiča e da sua figlia Dunja ha ricevuto stamani applausi a fine conferenza stampa.
   

Lav Diaz con THE WOMEN WHO LEFT non si è lasciato troppo andare, il film dura solo 226 minuti, poco meno di quattro ore. E questo contro un'altra sua opera, A LULLABY TO THE SORROW MYSTERY, presentata al Festival di Berlino che si sviluppava in ben otto ore. Bianco e nero, camera fissa, sequenze di circa un minuto l'una, con tutto a fuoco (tranne qualche eccezione), per raccontare la storia triste di una donna di mezza età (una straordinaria Charo Santos-Concio da Coppa Volpi) che si trova costretta a ripercorrere la sua vita a ritroso dopo essere stata ingiustamente reclusa per ben trent'anni in un carcere. Per lei c'è la ricerca di un figlio che non vede da trent'anni e anche una vendetta meditata durante tutta la sua vita carceraria. Liberamente tratto dal racconto breve Dio vede quasi tutto, ma aspetta (1872) di Lev Tolstoj, spiega il regista: ''L'esistenza è fragile. Alla fine di una giornata, in fondo, noi non sappiamo nulla''. Ovvero una storia semplice sull'esistenza umana, che si chiede ''dov'è la logica in tutto questo?'', un po' come ha fatto Terrence Malick nel suo VOJAGE OF TIME. L'ambientazione del film è a Mindoro, provincia delle Filippine da cui proviene la stessa Charo Santos-Concio.

   

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