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Le aziende italiane e l’intelligenza artificiale: una relazione complicata

Le aziende italiane e l’intelligenza artificiale: una relazione complicata

Uno studio dell’Osservatorio sulla Trasformazione Digitale dell'Italia conferma il ruolo strategico dell’IA nel futuro del Paese mentre evidenzia come le PMI siano in ritardo nell’adottarla

Roma, 10 gennaio 2024, 09:26

Redazione ANSA

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Le aziende italiane e l’intelligenza artificiale: una relazione complicata - RIPRODUZIONE RISERVATA

Le aziende italiane e l’intelligenza artificiale: una relazione complicata -     RIPRODUZIONE RISERVATA
Le aziende italiane e l’intelligenza artificiale: una relazione complicata - RIPRODUZIONE RISERVATA

Nei prossimi anni, l’intelligenza artificiale avrà un ruolo sempre più strategico nel nostro paese. È quanto emerge dal recente rapporto 2023 dell’Osservatorio sulla Trasformazione Digitale dell'Italia, che fotografa progressi e ritardi del sistema-Paese lungo il percorso di trasformazione digitale.

L’Osservatorio, lanciato da The European House – Ambrosetti in collaborazione con Fondazione IBM Italia, evidenzia tra altre cose anche opportunità e criticità derivanti dal rapido sviluppo delle tecnologie IA: partendo dalle opportunità, per l’Italia sarebbero quantificabili in 312 miliardi di Euro di Valore Aggiunto annuo (18,2% di PIL o 1,6 volte il valore del PNRR) a parità di ore lavorate.

 

Sull’altro piatto della bilancia pesano tuttavia le diverse criticità irrisolte relative al funzionamento dell’intelligenza artificiale: dalla questione relativa alla spiegabilità dei risultati, cioè all’attuale impossibilità di comprendere in modo chiaro e univoco con quali processi le IA arrivano alle loro conclusioni, a quella de bias nei risultati, cioè dei pregiudizi che inquinano i dati su cui le IA vengono addestrate, e di conseguenza anche le risposte che esse producono, con il rischio di amplificare le ingiustizie sociali. Dai rischi per la privacy a quelli dovuti a un uso improprio o malevolo della tecnologia, per esempio per la produzione di fake news.

 

Questioni ancora aperte e urgenti, che in parte spiegano perché il rapporto dell’Osservatorio sulla Trasformazione Digitale dell'Italia racconti un paese dove le aziende sono in ritardo nell’adozione delle tecnologie di IA: oltre 1 azienda italiana su 5 (21,8%) non sta utilizzando tecnologie di IA e non prevede di farlo; nella maggior parte dei casi (67%) il motivo risiede nella mancanza di un chiaro utilizzo di business (33%), mancanza di competenze (28%) o assenza di necessità di investire in queste tecnologie (22%). Ciò si verifica nonostante l’IA coinvolga tutte le funzioni aziendali: dalla strategia alla ricerca e sviluppo, dalla produzione alle risorse umane, dall’amministrazione fino alla logistica, da marketing e vendite fino al post vendita.

 

Come si supera questo gap? «Un aspetto cruciale riguarda la necessità di creare una “massa critica” sui fattori abilitanti per sfruttare appieno le opportunità dell’IA – spiega Lorenzo Tavazzi, Partner e Responsabile Scenari & Intelligence di The European House – Ambrosetti – serve cioè accrescere le competenze digitali (di base e avanzate) e promuovere la consapevolezza, da un lato, e favorire la digitalizzazione delle imprese, dall’altro. In tutti questi ambiti, è fondamentale definire una politica industriale a livello di sistema-Paese e adottare un approccio multi-dimensionale che preveda la collaborazione con i vari stakeholder, del settore pubblico e del tessuto produttivo - valorizzando il ruolo degli attori già preposti a favorire il percorso di digitalizzazione, come i Competence Center e i Digital Innovation Hub -, della formazione e dell’accademia, fino al terzo settore».

A definire e distinguere dagli altri paesi il contesto italiano, contribuisce sicuramente anche il fatto che le PMI italiane sono più rilevanti per l’economia nazionale rispetto alla media europea, ma

sono meno digitalizzate delle controparti all’estero. In Italia, le piccole e medie imprese (ovvero quelle con un numero di addetti compreso tra 10 e 249) contribuiscono al 36% del Valore Aggiunto

nazionale, un dato superiore a Germania, Francia e media europea; particolarmente elevato

è il ruolo delle piccole imprese (10-49 addetti), con una quota del 19%. Considerando il grado di digitalizzazione di queste imprese (misurato in termini di Digital Intensity), medie e grandi imprese presentano livelli tendenzialmente in linea con la media europea, mentre sono proprio le piccole imprese a evidenziare i maggiori gap: le piccole imprese con un livello di Digital Intensity alto o molto alto sono pari al 23% in Italia, rispetto alla media del 26% in UE-27 e del 32% in Germania.

 

Guardando all’estero, non mancano le iniziative virtuose da cui l’Italia potrebbe trarre esempio: «In termini di approcci multi-stakeholder, un esempio interessante è rappresentato dal Cile – spiega ancora Lorenzo Tavazzi - paese che ha avviato un processo partecipativo sull’IA che ha coinvolto oltre 7.700 cittadini tra consultazioni pubbliche e campagne di sensibilizzazione. Per quanto riguarda il supporto alla ricerca e allo sviluppo, il programma nazionale della Francia da 1,5 miliardi

di Euro è sicuramente un caso benchmark, così come la strategia Pan-Canadese a favore dell’intero ecosistema dell’innovazione connesso all’IA. Australia, Singapore e USA - conclude - possono invece rappresentare modelli di riferimento per lo sviluppo delle competenze e la gestione dell’impatto dell’IA sul mondo del lavoro».

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