(di Francesca Brunati e Igor Greganti)
Un giro di false fatture per oltre
20 milioni di euro emesse da sette società cartiere gestite da
prestanome nei confronti di imprenditori compiacenti per
riciclare i proventi delle attività della 'ndrangheta. Un
sistema di frodi fiscali a favore di aziende 'amiche' ben
radicato nella Bergamasca e collegato con la famiglia calabrese
degli Arena di Isola di Capo Rizzuto che è andato avanti per
anni con la complicità di una funzionaria dell'agenzia delle
Entrate e di due professionisti. Per questo oggi la Guardia di
Finanza di Bergamo ha eseguito 33 misure cautelari, di cui 18 in
carcere e 15 ai domiciliari, nell'ambito di una indagine della
Dda di Brescia, e ha effettuato perquisizioni in mezza Italia,
dalla Lombardia al Piemonte, dall'Umbria alla Sardegna, fino
alla Basilicata e ovviamente la Calabria e sequestrato beni per
oltre 6,5 milioni di euro.
Tra le persone da stamane in cella ci sono il presunto capo
dell'organizzazione criminale, Martino Tarasi, ritenuto
componente della famiglia Arena, e due commercialisti, Marcello
Genovese e Giovanni Tonarelli, mentre ai domiciliari è stata
posta, tra gli altri, Lia Alina Gabbianelli, "funzionario in
servizio presso l'Agenzia delle Entrate di Milano 5", accusata
di corruzione in quanto, tra settembre 2019 e febbraio 2021,
avrebbe agevolato Genovese "nell'esecuzione delle pratiche di
attivazione e revoca dei cassetti fiscali e della fatturazione
elettronica" che di volta in volta richiedeva. In cambio avrebbe
ricevuto un "compenso indebito" da "10 a 15 euro" a prestazione
fino a "un totale di almeno 6.730 euro".
Questa vicenda fa parte di uno dei 106 capi di imputazione
riportati nell'ordinanza del gip bresciano Carlo Bianchetti e
contestati nell''inchiesta coordinata dalla pm Claudia Moregola
e dal procuratore Francesco Prete. I reati ipotizzati a vario
titolo sono di associazione per delinquere con l'aggravante di
aver favorito la cosca calabrese, usura, ricettazione,
riciclaggio, autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di
valori, favoreggiamento, nonché reati tributari e fallimentari.
Dall'indagine, che è lo sviluppo di quella condotta dai
carabinieri scattata dopo un incendio doloso nel 2015 in
un'azienda di ortofrutta nella Bergamasca, è venuto a galla, si
legge nel provvedimento, che "all'interno della P.P.B.
Servizi&Trasporti srl si erano insediati alcuni soggetti
collegati alla criminalità organizzata di Isola Capo Rizzuto",
ossia Martino Tarasi, marito della figlia di Giuseppe Arena
"scomparso a seguito di 'lupara bianca'". Tarasi, secondo la
ricostruzione, avrebbe messo in piedi un'organizzazione
specializzata in reati "economico-finanziari con modalità
standardizzate e professionali" basata su una serie di società
"cartiere". In un'intercettazione del gennaio 2020 diceva: "Solo
fatture, dalla mattina alla sera (...) avevo due tre ragazzi con
due tre aziende (...) loro fatturavano a sti clienti, i clienti
gli facevano il bonifico (...) e io glieli riportavo in contanti
e mi tenevo il 10%, il 15". Ed un "ruolo fondamentale" nel
mettere a segno le presunte frodi fiscali a beneficio delle
società che avrebbero fatto parte del sodalizio criminale,
l'avrebbe avuto proprio il commercialista Tonarelli, la cui
preoccupazione di "non comparire personalmente" al punto da
servirsi di collaboratori emerge da una intercettazione in cui
Tarasi dice: "c'ha quattro commercialisti novantenni che firmano
al posto suo (...) novant'anni che gli devono fare a un
commercialista di novant'anni? Niente!".
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