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False fatture per riciclare soldi, 33 arresti 'ndrangheta

False fatture per riciclare soldi, 33 arresti 'ndrangheta

Inchiesta Dda Brescia, anche commercialisti e funzionaria fisco

MILANO, 06 settembre 2022, 11:09

Redazione ANSA

ANSACheck

auto guardia di finanza - RIPRODUZIONE RISERVATA

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(di Francesca Brunati e Igor Greganti) Un giro di false fatture per oltre 20 milioni di euro emesse da sette società cartiere gestite da prestanome nei confronti di imprenditori compiacenti per riciclare i proventi delle attività della 'ndrangheta. Un sistema di frodi fiscali a favore di aziende 'amiche' ben radicato nella Bergamasca e collegato con la famiglia calabrese degli Arena di Isola di Capo Rizzuto che è andato avanti per anni con la complicità di una funzionaria dell'agenzia delle Entrate e di due professionisti. Per questo oggi la Guardia di Finanza di Bergamo ha eseguito 33 misure cautelari, di cui 18 in carcere e 15 ai domiciliari, nell'ambito di una indagine della Dda di Brescia, e ha effettuato perquisizioni in mezza Italia, dalla Lombardia al Piemonte, dall'Umbria alla Sardegna, fino alla Basilicata e ovviamente la Calabria e sequestrato beni per oltre 6,5 milioni di euro.
    Tra le persone da stamane in cella ci sono il presunto capo dell'organizzazione criminale, Martino Tarasi, ritenuto componente della famiglia Arena, e due commercialisti, Marcello Genovese e Giovanni Tonarelli, mentre ai domiciliari è stata posta, tra gli altri, Lia Alina Gabbianelli, "funzionario in servizio presso l'Agenzia delle Entrate di Milano 5", accusata di corruzione in quanto, tra settembre 2019 e febbraio 2021, avrebbe agevolato Genovese "nell'esecuzione delle pratiche di attivazione e revoca dei cassetti fiscali e della fatturazione elettronica" che di volta in volta richiedeva. In cambio avrebbe ricevuto un "compenso indebito" da "10 a 15 euro" a prestazione fino a "un totale di almeno 6.730 euro".
    Questa vicenda fa parte di uno dei 106 capi di imputazione riportati nell'ordinanza del gip bresciano Carlo Bianchetti e contestati nell''inchiesta coordinata dalla pm Claudia Moregola e dal procuratore Francesco Prete. I reati ipotizzati a vario titolo sono di associazione per delinquere con l'aggravante di aver favorito la cosca calabrese, usura, ricettazione, riciclaggio, autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, favoreggiamento, nonché reati tributari e fallimentari.
    Dall'indagine, che è lo sviluppo di quella condotta dai carabinieri scattata dopo un incendio doloso nel 2015 in un'azienda di ortofrutta nella Bergamasca, è venuto a galla, si legge nel provvedimento, che "all'interno della P.P.B.
    Servizi&Trasporti srl si erano insediati alcuni soggetti collegati alla criminalità organizzata di Isola Capo Rizzuto", ossia Martino Tarasi, marito della figlia di Giuseppe Arena "scomparso a seguito di 'lupara bianca'". Tarasi, secondo la ricostruzione, avrebbe messo in piedi un'organizzazione specializzata in reati "economico-finanziari con modalità standardizzate e professionali" basata su una serie di società "cartiere". In un'intercettazione del gennaio 2020 diceva: "Solo fatture, dalla mattina alla sera (...) avevo due tre ragazzi con due tre aziende (...) loro fatturavano a sti clienti, i clienti gli facevano il bonifico (...) e io glieli riportavo in contanti e mi tenevo il 10%, il 15". Ed un "ruolo fondamentale" nel mettere a segno le presunte frodi fiscali a beneficio delle società che avrebbero fatto parte del sodalizio criminale, l'avrebbe avuto proprio il commercialista Tonarelli, la cui preoccupazione di "non comparire personalmente" al punto da servirsi di collaboratori emerge da una intercettazione in cui Tarasi dice: "c'ha quattro commercialisti novantenni che firmano al posto suo (...) novant'anni che gli devono fare a un commercialista di novant'anni? Niente!".
   

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