Non può godere dell'
"insindacabilità" concessagli dal Senato Roberto Calderoli, che
nel 2013 insultò in un comizio l'allora ministro dell'
Integrazione Cecilia Kyenge, chiamandola "orango". Lo ha deciso
la Corte Costituzionale accogliendo il ricorso del Tribunale di
Bergamo che aveva sollevato il conflitto di attribuzione tra
poteri dello Stato nei confronti del Senato, in relazione alla
deliberazione del 16 settembre 2015 con le quali l'Assemblea
aveva affermato che le opinioni del senatore erano "espresse da
un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni" e,
dunque, "insindacabili". Kyenge -le parole del senatore imputato
di diffamazione- "sarebbe un ottimo ministro, ma dovrebbe
esserlo in Congo non in Italia"; Calderoli aveva poi attribuito,
"sembianze di orango" alla ministra, tali da lasciarlo
"sconvolto" nel vederla comparire sul sito internet del Governo.
Le opinioni espresse da Calderoli, rileva la Consulta, non hanno
"alcun nesso funzionale con l'esercizio dell'attività
parlamentare".
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