(di Alessandra Magliaro)
C'è un'altra Liberazione, meno nota,
meno popolare, ma che non va dimenticata. E' quella degli IMI,
gli internati militari italiani che dopo l'8 settembre 1943
avevano detto no con coraggio e sapendo di rischiare. Sono circa
650mila persone che furono catturate e mandate nei campi di
lavoro nell'area del Reich (Germania, Austria, Polonia e
Cecoslovacchia) da cui non tornarono in 50mila. Gli altri
soldati alla Liberazione dell'aprile del 1945 tornarono dopo
aver fatto le famigerate 'marce della morte' lungo tutte le
strade dell'Europa centro-orientale, in condizioni di grande
disagio, psicologico oltre che fisico. Rimisero piede a casa e
vollero dimenticare così come tanta parte degli italiani. Voluto
da loro stessi o dalla società cadde l'oblio su quei migliaia di
ex militari internati, chiusi nel silenzio della loro brutale
esperienza.
Così può capitare di andare in visita al Museo degli internati
italiani, inserire nel data base interattivo il proprio cognome
e scoprire di esserci, con un parente, un genitore che mai
aveva voluto ricordare quei momenti in cui dicendo NO! alla
collaborazione con il nazifascismo finì in un lager. Un'emozione
che, raccontano i volontari dell'Associazione che prestano la
loro cura al museo a Roma in Via Labicana nei pressi del
Colosseo.
ll Lessico biografico degli IMI, il data base realizzato
dall'ANRP annovera schede biografiche del maggior numero
possibile dei 650mila. A parlare per loro in queste stanze del
museo interattivo sono gli oggetti, la gavetta, gli abiti da
lavoro, i disegni, i mini libri che permisero loro di restare in
vita. E' come se fosse la loro 'voce' oggi, ognuno ha una storia
che è ora di raccontare e che oggi può dare il senso di una
Resistenza non ben riconosciuta e di una testimonianza spesso
unica. E' un museo fatto in tanta parte con le donazioni: come
per le 400 foto scattate clandestinamente dell'ufficiale
Vittorio Vialli internato a Luckenwalde, a Benjaminowo,
Sandbbostel e Fallingbostel che con il sostegno dei compagni
riuscì a nascondere una piccola Leica e documentare la prigionia
in quei campi. C'è persino un violino, rivenuto ancora intatto
da Luigi Manoni mentre spalava le macerie di una casa vicino ad
Amburgo distrutta dai bombardamenti anglo-americani, uno
strumento che fu di grande conforto e che gli fu permesso di
suonare.
Gli Imi, in base all'accorto siglato il 20 luglio 1944 tra
Hitler e Mussolini, da internati militari divennero 'lavoratori
civili', questa trasformazione rese più efficiente lo
sfruttamento coatto da parte della Germania, in violazione di
ogni residuo di diritto internazionale. Lavorarono nelle
fabbriche, nei campi, nelle miniere e nello sgombero delle
macerie, si svegliavano prima dell'alba e scortati da guardie
armate percorrevano a piedi i luoghi di impiego.
Dopo l'annuncio dell'Armistizio con le forze alleate, letto alla
radio dal maresciallo Pietro Badoglio, centinaia di migliaia di
soldati e ufficiali, disorientati dal caos di quei giorni e
dalla mancanza di direttive furono ammassati nelle caserme e
costretti a consegnare le armi ai tedeschi. Stipati nei treni,
40 e più in ogni vagone senza possibilità di sdraiarsi e
dormire, vissero, in alcuni casi anche 15 giorni, una situazione
di fatto insostenibile. E non andò meglio ai militari italiani
all'estero, costretti dai tedeschi a fare una parte del viaggio
in mare in navi attaccate e affondate. L'ultima sala è dedicata
alla Liberazione, un 25 aprile di sofferenza per tutti i
sopravvissuti. Tra i reperti donati dal sottotenente Michele
Montagano c'è anche una pesante tuta, con qualche macchia di
sangue, rinvenuta e indossata al momento della liberazione. Che
non fu immediata: fu alla fine di agosto del 1945 il rimpatrio
degli italiani, prima dai centri di raccolta inglesi e americani
e poi di campi russi. Tornarono gli ex deportati in modo confuso
e dopo estenuanti giorni di viaggio, passando per il Brennero e
giungendo a Pescantina nei pressi di Verona, dove vennero
convogliati per essere avviati alle loro case. Tornarono e
rimasero 'diversi' per tutta la vita.
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