Per la prima volta cellule della pelle di elefante sono state riprogrammate fino a ottenere cellule staminali: lo annuncia la compagnia texana Colossal Biosciences, che intende usare queste cellule per studiare le modificazioni genetiche necessarie a riportare in vita i caratteri del mammut, nella speranza di realizzare il sogno della de-estinzione delle specie scomparse.
Il risultato non è ancora stato pubblicato su una rivista scientifica, ma a breve dovrebbe comparire sulla piattaforma online bioRxiv, dove vengono condivisi gli studi non ancora sottoposti a revisione fra pari.
La curiosità nella comunità scientifica è molta, visto che finora nessuno era ancora riuscito a riprogrammare le cellule di elefante, a differenza di quelle di altre specie minacciate come il rinoceronte bianco e il leopardo delle nevi.
Lo stesso team della Colossal Biosciences guidato dalla biologa Eriona Hysolli aveva fallito nel tentativo di riprogrammare cellule di un cucciolo di elefante asiatico con la classica 'ricetta' messa a punto dal premio Nobel Shinya Yamanaka nel 2006.
Per superare l'impasse, i ricercatori hanno provato una strategia alternativa, trattando le cellule di elefante con un cocktail molecolare usato per riprogrammare cellule umane e di topo. Le poche sopravvissute hanno assunto una forma arrotondata simile a quella delle staminali e sono state coltivate usando solo a quel punto la ricetta di Yamanaka. Infine, il tocco decisivo che ha sbloccato la situazione: è stata ridotta l'espressione di un gene antitumorale chiamato TP53.
In questo modo è stato possibile ottenere quattro linee di cellule staminali riprogrammate che saranno utili per identificare e studiare i cambiamenti genetici necessari per generare un elefante asiatico che presenti caratteri tipici dei mammut. Le staminali riprogrammate potrebbero essere usate anche per produrre cellule uovo e spermatozoi, o direttamente un embrione sintetico. I ricercatori ipotizzano inoltre di utilizzare le cellule staminali riprogrammate per creare un utero artificiale con cui tentare la gestazione in vitro, in modo da non dover sfruttare la riproduzione naturale di animali minacciati per le loro sperimentazioni.
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