"Stavamo passando da un'economia socialista a una di mercato. C'era molta eccitazione ma anche paura. Quando ci dissero che la nostra azienda sarebbe stata acquistata da un italiano, tutte le incertezze che già avevamo, presero il sopravvento". Frau Heike Florenz da 40 anni lavora alla Berlin Chemie, e oggi ricorda col sorriso quel giorno di 26 anni fa quando ai dipendenti della fabbrica chimica berlinese fu comunicato il loro futuro. A vincere la gara per la privatizzazione dell'area industriale della ex DDR era stato infatti Alberto Aleotti, allora presidente del gruppo Menarini, prima industria farmaceutica italiana.
"Quando nel 1992 acquistammo i 400.000 metri quadri della Berlin Chemie, si trattava non solo di ristrutturare la produzione industriale e adeguare la struttura produttiva agli standard GMP ma anche di cambiare la mentalità, dopo 45 anni di comunismo. Nella DDR, c'era salario garantito e non esisteva la disoccupazione ma c'era anche una bassa produttività e non esisteva la figura dell'informatore scientifico", spiega Attilio Sebastio, Chief Financial Officer della Berlin Chemie. A questo si aggiungeva l'altissimo tasso di disoccupazione che, nella ex Germania Est, seguì il crollo del Muro di Berlino: i dipendenti della fabbrica dimezzarono in 3 anni, passando da 3.000 nell'1989 a 1.268 nel 1992. "Rispetto agli italiani eravamo reciprocamente curiosi ma scettici", racconta Frau Heike, per cui la Berlin Chemie è quasi una famiglia, visto che vi hanno lavorato anche il marito e il figlio. "Il primo contatto che ebbi col dottor Aleotti - prosegue - fu subito dopo la privatizzazione. Ci promise che avrebbe fatto tornare grande questa azienda. In pochi ci cedettero ma in effetti tutto quello che ha detto lo ha realizzato". Ora la Berlin Chemie conta su 1,6 miliardi di euro di fatturato, quasi la metà di tutto il gruppo Menarini (3,6).
"Vincemmo la gara al nostro piano di ristrutturazione, un piano di cui abbiamo rispettato ogni punto. E che ha fatto della Berlin Chemie uno dei pochi esempi di privatizzazione riuscita della ex Repubblica Democratica Tedesca", spiega Sebastio. Oggi, gli edifici storici stanno per essere abbattuti e l'intera zona di insediamento originale bonificata mentre, poco distante, si estende la nuova Berlin Chemie-Menarini dove si produce 7 giorni su 7 in spazi rinnovati e laboratori ad altissima tecnologia. In questo microcosmo, l'anima italiana e quella tedesca si incontrano unendo precisione e organizzazione da un lato, creatività e la flessibilità dall'altro. "Italiani e tedeschi sono molto diversi di temperamento - conclude Heike - ma col tempo ne è nata una ottima simbiosi".
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