L'efficacia degli antidepressivi
potrebbe essere potenziata tenendo a bada i livelli di
infiammazione. In questo modo, infatti, risulta aumentata la
"neuroplasticità" (ovvero la formazione di nuovi neuroni e nuove
connessioni nervose), elemento cruciale affinché i farmaci
funzionino.
Lo rivela uno studio condotto su topolini da Igor Branchi e
Silvia Poggini presso l'Istituto Superiore di Sanità (Iss), e
presentato al 32/o Congresso dello European College of
Neuropsychopharmacology (ECNP) a Copenaghen, secondo cui
regolando i livelli di infiammazione la neuroplasticità aumenta.
Inoltre si è visto che uno dei più comuni antidepressivi, la
fluoxetina (conosciuta con il nome commerciale Prozac), agisce a
sua volta anche bilanciando i livelli di infiammazione
cerebrale, oltre che agendo sulla neuroplasticità. Circa un
terzo dei 322 milioni di pazienti a livello mondiale che
soffrono di disturbi depressivi, non rispondono come dovrebbero
ai farmaci. Diverse evidenze scientifiche dimostrano che,
affinché questi farmaci funzionino, devono essere in grado di
aumentare la "neuroplasticità" in aree chiave del cervello come
l'ippocampo. In questo studio si è visto che i livelli di
infiammazione cerebrale, quando troppo bassi o troppo alti,
ostacolano la neuroplasticità.
"Il nostro lavoro - afferma Branchi - mostra che
neuroplasticità e infiammazione cerebrale sono interdipendenti,
ovvero che la neuroplasticità è possibile solo quando
l'infiammazione è mantenuta all'interno di uno specifico
intervallo fisiologico di valori".
Abbassando l'infiammazione con comuni farmaci analgesici,
infatti, la neuroplasticità diminuisce. Così come somministrando
sostanze che stimolano un eccesso di infiammazione.
Questo studio, se confermato in trial clinici, conclude
Branchi, potrebbe condurre allo sviluppo di strategie
terapeutiche basate sul controllo dell'infiammazione sì da
stimolare la neuroplasticità e rendere più efficaci i
trattamenti per la depressione.
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